STEFANIA: LA MIA VITA DA EXPAT IN THAILANDIA

Stefania: la mia vita da expat in Thailandia

Vita da expat: partire o restare?
Ci racconta la sua esperienza Stefania, sociologa della comunicazione e giornalista, che da 13 anni vive in Thailandia. Per la maggior parte del tempo abitando a Chiang Mai, e da due anni a Bangkok, che adora!
Una partenza semplice la sua? Zaino in spalla e via? Non proprio, dal momento che Stefania è partita con due gemelle di appena un anno e senza le spalle coperte da un contratto a tempo indeteminato con una multinazionale, come accade a molti che partono dall’Italia per lavoro.
Una partenza quindi coraggiosa, da ponderare e organizzare bene. Un’esperienza da raccontare, insomma! E allora immaginateci virtualmente davanti a un meraviglioso bouquet di frutta tropicale, matura e profumatissima, a parlare di scelte importanti, quelle che svoltano una vita per davvero.

RSP: Stefania, cosa ti ha portato via dall’Italia verso la Thailandia?
S: Quel che mi ha portato a lasciare l’Italia è stata l’Italia! La parte brutta della cultura italiana, intendo. E cioè il clientelismo, l’assenza di merito, il disinteresse per la cosa pubblica… quella spirale discendente di degrado urbano e sociale. E così andare a vivere all’estero per me è stato un passaggio naturale.

RSP: Vivi in Thailandia e lavori come giornalista free-lance da tanti anni: ti riconosci come nomade digitale?
S: Mi riconosco più nell’aggettivo che nel sostantivo. Non sarei riuscita a portare il mio lavoro con me se non ci fosse stata la rivoluzione digitale, ma non sono nomade. Anzi, direi che sono piuttosto stanziale! Il viaggio, semmai, è nel tempo. Considerato il fuso orario che mi separa dall’Italia (che è il paese con cui più lavoro), vivere in questo angolo di mondo mi ha offerto più tempo nelle mie giornate. Mi sveglio quando l’italia dorme ancora ed è tutto tempo “regalato”…

RSP: Non è raro che la vita da expat presenti complicazioni e imprevisti. A volte è semplicemente la nostalgia di “casa”, quella che un po’ romanticamente si chiama “expat blues“. E per te, quali sono stati i momenti più critici della tua vita da expat? Cosa ti ha permesso di superarli? 
S: Più che l’expat blues, ho provato infiniti momenti di expat joy! A me l’expat blues viene quando sto troppo a lungo lontano da qui… il passaggio dall’ora legale all’ora solare mi fa salire una malinconia! I momenti più critici della mia vita qui credo di averli provati all’inizio, quando mi sono trovata con due bimbe piccole nella casa che avevamo affittato e il giardino era infestato da centopiedi (che qui sono velenosi!). Per il resto, amo tutto: gli scrosci del monsone, le nuvole bianche che corrono veloci nel cielo, le rane di notte (le sento gracidare anche in città!)… e poi questo strano mix di tradizione e modernità, la cortesia e, non da ultimo, il fatto di sentirmi a casa in un posto che non è quello dove sono nata e cresciuta.

RSP: A chi sta decidendo proprio ora se fare questo grande passo o no, cosa diresti per aiutare a decidere in un senso (andar via dall’Italia) o nell’altro (restare)? 
S: Da tutti i miei viaggi, e preciso che avevo già vissuto all’estero in un doppio anno sabbatico prima dell’università, ho imparato che chi parte non è mai chi torna. Bisogna essere consapevoli che partire è mettersi in gioco al 100%: cambiano i rapporti, le prospettive, cambiamo noi, cambia veramente tutto! Quanto a prendere una decisione è facilissimo: a un certo punto, uno dei piatti della bilancia – partire o restare – peserà di più. La bilancia è il cuore. Si parte con il cuore, perché è dove sta il coraggio. Nessun calcolo potrà mai prevedere il futuro che è imprevedibile. Nel bene e nel male.

RSP: Certo, esiste un quota di rischio connessa all’andar via. Ma forse sottovalutiamo la quota di rischio che ci assumiamo col restare. Del tipo: cosa rischiamo di perdere a non partire? Quali opportunità non potremo cogliere? Di solito non ci pensiamo, perchè laddove le cose sono “ignote” tendiamo ad amplificare il rischio; se rimaniamo dove già stiamo è facile illuderci di saper tutto, di avere pieno controllo… Stefania, pensi di ritornare un giorno in Italia? E a quali condizioni? 
S:Torno ogni estate, ma non penso di ritornare per sempre. Non sopravviverei al primo inverno, mi mancherebbe la libertà, lo spazio, la natura e anche il fatto di sentirmi expat. Quella sensazione esaltante dell’aereo in decollo la provo ancora adesso!

IN TEMA:
Sorellanza, il superpotere delle expat
https://www.rossanasilviapecorara.com/sorellanza-il-superpotere-delle-expat/
Minfulness per expat: perchè funziona
https://www.rossanasilviapecorara.com/mindfulness-per-expat-perche-funziona/
• Coppie miste: la sfida della complessità
https://www.rossanasilviapecorara.com/coppie-miste-la-sfida-della-complessita/

INFO UTILI
Ambasciata d’Italia a Bangkok
https://ambbangkok.esteri.it/it/

ECO-ANSIA, ATTACCHI DI PANICO E CRISI CLIMATICA

eco-ansia attacchi panico crisi climatica

L’eco-ansia, o ansia climatica, indica una preoccupazione e un’angoscia costante per il destino del pianeta e di tutte le specie viventi. Preoccupazione che nasce da come il cambiamento climatico impatta sulle nostre vite: siccità estrema e carenza d’acqua in alcune zone, alluvioni e rovesci catastrofici in altre, temperature roventi d’estate e miti d’inverno, desertificazione progressiva…

Come si può rimanere indifferenti e far finta di nulla? Certamente occorre agire e prendere provvedimenti prima che sia troppo tardi. I governi e le grandi industrie devono fare la loro parte e noi, come singoli cittadini, possiamo portare il nostro contributo con le scelte di tutti i giorni. Consumare di meno, e solo il necessario; riciclare e riusare evitando sprechi; e tante altre buone pratiche che si possono attuare. Se vuoi approfondire, qui trovi un’interessante infografica in 10 punti!

Ma che fare quando siamo inghiottiti in un vortice di panico e agitazione o se ci sentiamo sprofondare in una sensazione d’impotenza e disperazione? Quando una normale, sana “apprensione” per le sorti del pianeta diventa un assillo costante, che ci impedisce di vivere la nostra vita e ruba ogni nostra energia, è il momento di fermarsi e capire cosa sta succedendo.

L’eco-ansia, che nelle sue manifestazioni più intense può sfociare nell’attacco di panico, o in gesti autolesionistici anche gravi, può essere affrontata con un percorso psicologico in 3 passi.
1. Il primo passo è recuperare stabilità ed equilibrio per riportarsi in una condizione psico-fisica accettabile.
2. Il secondo passo è quello di ricostruire un senso di fiducia e di speranza nella possibilità dell’essere umano di trovare una via per limitare i danni al pianeta.
3. Il terzo passo è capire come continuare a sentirci impegnati e coinvolti nella sfida climatica senza perdere il significato e la direzione della nostra vita.

Sì, perchè “guarire dall’eco-ansia” non significa rendersi indifferenti al problema, ma raggiungere l’equilibrio e la stabilità necessaria per far fronte alle sfide senza sentirci sopraffatti e sconfitti in partenza.

Di eco-ansia soffrono anzitutto i ragazzi e le ragazze più giovani, più sensibili ed esposti alla colpevole spettacolarizzazione che i mass media spesso fanno della crisi climatica e dei disastri ambientali.

Se hai bisogno d’aiuto, non esitare ad aprirti e parlarne.
Se vuoi, mi trovi qui: pecorara@gmail.com

Photo: Tobias Rademacher

IN TEMA:
1. SE LADY GAGA PARLA DI SALUTE MENTALE
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2. GRETA E LA SINDROME DI ASPERGER
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3. SOLUTION JOURNALISM NETWORK E SALUTE MENTALE
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MINDFULNESS PER EXPAT: PERCHÈ FUNZIONA

MINDFULNESS PER EXPAT

Mindfulness per Expat: funziona? E perchè?
La Mindfulness, ne avrai sentito parlare, è una pratica di consapevolezza, un allenamento graduale a riconnettersi al proprio mondo interiore: i cinque sensi, il respiro, il battito cardiaco e infine anche le nostre emozioni e tutti i pensieri.
Per certi aspetti è un tornare a casa nel nostro corpo e nelle nostre sensazioni.
Già… perché capita spesso che, tutti proiettati verso l’esterno (vuoi la carriera, la ricerca di un amore o nuove amicizie), ci dimentichiamo di chi siamo noi e di come stiamo. Non abbiamo tempo o non diamo sufficiente attenzione al nostro mondo interno, perchè il mondo là fuori prende il sopravvento e impegna tutte le nostre energie!

Questo è particolarmente vero per chi si trasferisce all’estero per lavoro e, tra gli expat, specialmente per chi è approdato da poco in un nuovo Paese e s’affaccia per la prima volta in una nuova vita.
È perfettamente naturale che in questo caso le energie e le attenzioni siano tutte rivolte all’esterno, fuori di sè: occorre adattarsi, trovare casa, fare nuove amicizie, integrarsi coi colleghi e sul posto di lavoro, imparare lingue, usi e costumi.
Questo è un processo mentale lungo, che impegna tante risorse cognitive. Non cè nulla di male! Ma un effetto collaterale è dimenticarsi di rivolgere anche attenzioni all’interno di sè: al come stiamo, al cosa ci sta capitando visto dall’interno. La conseguenza è che, dopo un po’, ci sentiamo stanchi, soli, svuotati. Abbiamo perso la connessione con l’interno!

Ecco che la Mindfulness, la regina tra le pratiche di consapevolezza e osservazione interiore, esprime tutto il suo potenziale. Come? Riportandoci gentilmente al “qui e ora” della nostra esperienza personale: cosa ci comunica il nostro respiro? Cosa ci comunicano i nostri 5 sensi? Come stiamo abitando il nostro corpo? Siamo presenti a noi stessi mentre facciamo le cose o siamo sempre portati via dai nostri pensieri e inseriamo il pilota automatico?

Allenarsi con la Mindfulness, in autonomia o con l’aiuto di un professionista, funziona nel “ricondurci a casa” nel nostro corpo e nella nostra esperienza interiore, momento per momento. Così recuperiamo energia, fiducia, senso di rinnovata connessione con la nostra vita e i nostri progetti. Ci sentiamo anche meno soli, più aperti e curiosi.

• Vuoi saperne di più sulla Mindfulness? Puoi approfondire qui!
• Vuoi iniziare un percorso personalizzato di Mindfulness? Scrivimi a pecorara@gmail.com oppure clicca sul bottone verde a fondo pagina.
• Vuoi apprendere la Mindfulness in autonomia? Ecco il link alla mia audioguida completa “Mindfulness Qui e Ora: Allenarsi al benessere” che trovi in streaming su Audible e Storytel, oppure puoi acquistare qui!

IN TEMA:
Sorellanza: il superpotere delle Expat!
https://www.rossanasilviapecorara.com/sorellanza-il-superpotere-delle-expat/
Il cibo? …facciamoci pace (Mindful Eating)
https://www.rossanasilviapecorara.com/il-cibo-facciamoci-pace-mindful-eating/
Fibromialgia e Mindfulness
https://www.rossanasilviapecorara.com/dolore-ansia-insonnia-fibromialgia-e-mindfulness/

Ph: Rodion Kutsaiev

MINDFUL PARENTING E BABY MINDFULNESS

MINDFUL PARENTING E BABY MINDFULNESS

Riuscite a immaginare un gatto acciambellato al sole? Ecco uno degli esempi più vividi dell’essere connessi all’esperienza che si sta vivendo! Anche se pare assopito o persino addormentato, il gatto è sempre cosciente di sé e di ciò che accade attorno e, disteso ai raggi del sole, ne sperimenta tutto il piacere.

La Mindfulness, per chi la conosce e per chi non la conosce ancora, è il contatto con l’esperienza viva del momento presente, è consapevolezza del corpo, del respiro e del sensi, è un’attenzione gentile e non giudicante al come stiamo. Semplicemente esserci!

Mindfulness non significa pensare a come stiamo, nè controllare come stiamo e nemmeno significa cercare di stare meglio. Significa lasciarsi essere per come si è, lasciare che “parlino” i propri sensi, stare in ascolto e comprendere senza giudicare.

Proprio come un bel gattone al sole, anche i bambini molto piccoli sono mindful per natura, ben più di noi adulti: non sono assorbiti e travolti da pensieri, giudizi e preoccupazioni, nemmeno dai ricordi o da piani per il futuro. Sono tutt’uno coi loro sensi e con l’esperienza del momento presente. Sono e basta. Ed è sufficiente!

Non che l’esperienza del momento presente sia sempre piacevole: tutti i bimbi possono avvertire i morsi della fame, il dolore di una colica, il fastidio di un pannolino o la sbucciatura di un ginocchio. D’altro canto, mindfulness non significa cercare la felicità o soffermarsi solo su ciò che ci piace ignorando tutto il resto. Mindfulness è osservare ciò che ci succede (qualunque cosa sia) e stare in ascolto per un po’. Abbandonando ogni giudizio.

Perché è così importante? Perchè pensieri e giudizi sono solo interpretazioni della realtà. E a volte non è il caso di dar loro eccessiva importanza, lasciandoci travolgere. I pensieri non sanno tutto, sono solo pensieri!

Quando sono molto piccoli i bambini vivono immersi nel presente e nelle percezioni corporee. Crescendo, sviluppano competenze cognitive e metacognitive e le emozioni si fanno più complesse e variegate come le nuove situazioni sociali da affrontare: l’asilo, la scuola, il campo sportivo e tutte le persone con cui è richiesto relazionarsi, bambini e adulti. Aiutarli, passo passo, nella crescita e nell’esplorazione di sé e del mondo è il compito amorevole di un genitore.

Cosa fare quando il proprio bambino di 5 anni si è convinto che c’è un mostro sotto il letto? O quando ci si scontra con la frustrazione di una materia scolastica che non piace e non c’è verso di apprendere? Cosa fare con la rabbia che monta quando il fratellino o la sorellina minore distruggono un giocattolo? O come trovare un momento di pace quando il nostro bambino non si ferma letteralmente mai?

In ogni famiglia ci sono piccole e grandi sfide ogni giorno e la pratica mindfulness è un’ottima alleata per bambini, mamme e papà. Con la Baby Mindfulness genitori e bimbi possono ritrovare il contatto con il momento presente, attraverso giochi, esercizi e piccole meditazioni.

Ho pubblicato un’audioguida in formato MP3 che raccoglie il meglio e che è pensata non per insegnare, ma per accompagnare. La puoi scaricare dal sito di Voce in capitolo, oppure ascoltarla in streaming su Audible o Storytel.
Su Audible puoi ascoltare un estratto, anche senza abbonamento!
“BABY MINDFULNESS: GIOCHI, ESERCIZI, MEDITAZIONI”
(con la voce di Valentina Veratrini)

Ti lascio qualche primo spunto… e se vuoi iniziare un percorso personalizzato di Mindful Parenting, scrivimi a pecorara@gmail.com

TIPS & TRICKS • MINDFUL PARENTING
• Sii pienamente presente
• Ascolta le emozioni (belle e brutte) come messaggi utili per orientarti, non temerle
• I problemi non nascono da una brutta emozione, ma da come la gestiamo e rispondiamo
• Gestisci in prima persona ciò che dipende da te
• Esplora con i 5 sensi, ascolta il respiro, concediti attenzione gentile
• I pensieri sono solo pensieri, non sanno tutto!
• Sii paziente: i bambini imparano se si sentono accolti, si chiudono se si sentono giudicati
• Offri fiducia (non “Fa’ tutto ciò che vuoi”, ma “Ti lascio esplorare ciò che sai già gestire”)
• Lascia andare il controllo e le aspettative, lasciati sorprendere!
• Rispetta il tuo bambino: lui ha i suoi tempi e i suoi modi, tutti legittimi
• I tuoi bambini sono perfetti e completi così come sono: crescendo migliorano il loro FARE (non l’ESSERE)

IN TEMA:
Mindfulness, Qui e Ora
https://www.rossanasilviapecorara.com/mindfulness-qui-e-ora/
Il cibo? … facciamoci pace (Mindful Eating)
https://www.rossanasilviapecorara.com/il-cibo-facciamoci-pace-mindful-eating/
La scuola ai tempi del Covid: quali alternative?
https://www.rossanasilviapecorara.com/la-scuola-ai-tempi-del-covid-quali-alternative/

Photo: Lauren Lulu Taylor

SOLUTION JOURNALISM NETWORK E SALUTE MENTALE

Solution Jornalism Network e salute mentale

Quali i temi centrali e sfidanti per i giorni a venire? Preservare la salute mentale, insieme a fiducia e speranza, in un momento di profonda crisi planetaria: emergenze geopolitiche, emergenza climatica e sanitaria. La tempesta perfetta, un connubio letale per la nostra salute mentale.

Come si può mantenere un contatto con il mondo quando i media (tutti inclusi) riportano incessantemente notizie disperate e disperanti? Come riuscire a navigare tra tutte le informazioni, restare aggiornati e non intossicarsi?
Una strada molto promettente è quella proposta da una squadra, ormai nutrita e internazionale, di giornalisti impegnati a cambiare la narrativa delle news.
Si tratta del Solution Journalism Network.

È un modo di offrire le notizie che non ci congeli in uno stato di impotenza e disperazione. Che ci permette di tenere aperti gli occhi sui problemi porgendoci una migliore comprensione, così come le possibili soluzioni. La sensazione infatti è che l’approccio giornalistico che va per la maggiore sia quello sensazionalistico, dove vince chi la spara più grossa e più grave, senza fornire chiavi di lettura adeguate e senza fornire il resto del racconto, lasciandoci con un tremendo interrogativo: Sì, ok… e quindi ora come si fa??

Questo tipo di giornalismo vecchio stampo (e anche un po’ truffaldino) mira a metterci ansia per tenerci agganciati. Non è nient’altro che manipolazione: un modo di giocare con le nostre paure, farci sentire inadeguati e in colpa, così che continuiamo a cercare notizie sperando inutilmente in una migliore comprensione e in una rassicurazione. Che non arriva mai.

È così che questa rete internazionale di giornalisti sta sensibilizzando il mondo dell’informazione affinchè i servizi e gli articoli che si pubblicano siano sempre più attenti a questi 4 punti chiave:
1. OFFRIRE SOLUZIONI E RISPOSTE. Quando si parla di un problema (sociale, climatico, sanitario, geopolitico) essere chiari nella spiegazione e nella sua contestualizzazione. E altrettanto chiari ed aesaustivi nel porgere tutte le soluzioni in campo per affrontarlo
2. OFFRIRE COMPRENSIONE E INSIGHT. Quando s’illustrano le soluzioni in campo, spiegare cosa sta funzionando e perchè. E, se qualcosa non funziona, impegnarsi a spiegare cosa e quali informazioni utili ci offre questo “fallimento”
3. OFFRIRE DATI E PROVE. I problemi e le soluzioni, ciò che funziona e ciò che no, devono essere supportati da dati quantitativi e/o qualitativi a sostegno. Per dare il buon esempio e combattere le fake news
4. MOSTRARE I LIMITI. Non si tratta di raccontare una bella favoletta. Il giornalismo dev’essere rigoroso e se qualcosa non ha gli esiti sperati, occorre analizzare perchè. O anche spiegare perchè una soluzione funziona in un contesto e non in un altro, in modo che chi volesse avvantaggiarsi di una soluzione lo faccia il più possibile consapevolemente, conoscendo pro e contro.

Come si può intendere, si tratta di un approccio profondamente costruttivo, che mira non a colpirci come bersagli, ma ad aumentare la consapevolezza di ciò che ci succede intorno e la conoscenza di tutte le risorse che si possono mettere in campo. Si tratta di un modo totalmente nuovo, etico, rigoroso, inclusivo e non disturbante di portare le notizie, anche le più scomode e difficili. Non possiamo perire di news scioccanti che ci tolgono il respiro a ogni ora del giorno. Così come non possiamo non sapere cosa accade nel mondo e nascondere la testa sotto la sabbia.
Ora l’alternativa esiste e da professionista della salute mentale mi auguro che sempre più giornalisti e testate scelgano la strada della consapevolezza e del rispetto della psicologia delle persone, non alterando i fatti ma trasformandone la narrativa da tossica a costruttiva.


IN TEMA:
Solution Journalism – Mission
https://www.solutionsjournalism.org/about
Se Lady Gaga parla di salute mentale
https://www.rossanasilviapecorara.com/se-lady-gaga-parla-di-salute-mentale
Eco-ansia, attacchi di panico e crisi climatica
https://www.rossanasilviapecorara.com/eco-ansia-attacchi-di-panico-e-crisi-climatica/
Disconnessione selettiva, perchè ormai rifiutiamo le cattive notizie
https://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/societa_diritti/2022/08/22/disconnessione-selettiva-perche-ormai-rifiutiamo-le-cattive-notizie_3035ffdd-8dc8-4a7c-8cfe-e226e7042a8f.html


DOLORE ANSIA E INSONNIA: FIBROMIALGIA E L’AIUTO DELLA MINDFULNESS

DOLORE ANSIA E INSONNIA: FIBROMIALGIA E MINDFUNESS

“All’inizio non mi credeva nessuno e ancora adesso fatico a spiegare alla gente come sto e cosa mi succede, perchè ho la sensazione che non mi capiscano”
“Ho dovuto cambiare medico più volte e non rassegnarmi all’idea che fossi solo stressata o esagerata!”
“Ci ho messo un po’ di tempo a capire che avevo bisogno di aiuto. Ciò che mi accadeva non aveva proprio senso. Temevo di essere presa per una che s’inventa le cose o che si diverte a far la vittima, perchè gli esami erano a posto e non c’era niente che non andava…”

Ma andiamo per ordine… La Fibromialgia (o Sindrome fibromialgica) è un’insieme di sintomi. Questi i più comuni:
1. dolori diffusi riferiti a muscoli, tendini e legamenti
2. sensazione di rigidità corporea
3. spossatezza e fatica cronica
4. mal di testa e insonnia
5. coliti e disturbi gastroenterologici

Questi sintomi sono comprensibilmente capaci di attivare una buona quota di ansia e di stress, oltre che difficoltà a concentrarsi e talvolta a eseguire anche semplici compiti. Ansia, sensibilità allo stress e incapacità di concentrarsi di solito sono annoverati essi stessi tra i sintomi. Ma è pur vero che, come in un circolo vizioso, peggio mi sento, più ansia e confusione sperimento. E in un quadro nosografico che è lungi dall’essere chiaro e definito, si fa ancora fatica a capire cosa genera cosa.

La grande maggioranza dei soggetti colpiti da fibromialgia sono donne tra i 40 e i 60 anni e per ora non esiste una “cura”. Anche la diagnosi non è semplice: di solito, in presenza di valori del sangue nella norma, si fa semplicemente riferimento ai sintomi riportati dai pazienti e si esegue la diagnosi differenziale con l’artrite reumatoide, il lupus, la polimialgia reumatica, per escludere queste e altre patologie simili. Ma nessun esame clinico o di laboratorio è in grado di confermare la diagnosi di fibromialgia. Almeno al momento.

La buona notizia è che un approccio olistico e multidisciplinare può portare risultati nel tempo. Lavorare sul corpo e sulla mente in un’ottica integrata ha dimostrato una certa efficacia.

Quali sono dunque gli interventi che aiutano a minimizzare l’impatto dei sintomi?
Sempre consultando un reumatologo per il proprio specifico caso, possono essere utili massoterapia, termoterapia, agopuntura, yoga e ginnastica dolce, e anche la giusta attenzione all’alimentazione (meglio informarsi su quali cibi aiutano e quali no).
Nei casi più gravi si possono assumere farmaci per il controllo del dolore, ansiolitici e antidepressivi purchè sotto stretto controllo medico.

In questo quadro la psicologia -specialmente la terapie di terza generazione, orientate al corpo e la Mindfulness- sono di grande aiuto per migliorare l’ansia e lo stress che sono parte della sindrome.
Meno stress percepisco, migliore sarà il mio umore, meglio dormirò e meglio riuscirò nello studio e nel lavoro. E probabilmente il dolore fisico che avvertirò sarà meno intenso…

La Mindfulness nasce negli anni ’70 dallo studio appassionato di psicologi e neurobiologi convinti che le pratiche meditative e contemplative di stampo buddhista fossero molto efficaci nel potenziare le nostre risorse mentali e nel silenziare gli elementi di disturbo, per così dire. Elementi di disturbo come pensieri negativi ripetitivi, autocritiche continue, o anche solo la sensazione costante e pervasiva di non essere mai efficaci abbastanza.
Questo gruppo di studiosi aveva perfettamente ragione perchè, attraverso la risonanza magnetica funzionale (fMRI), si potè confermare che la pratica meditativa determina cambiamenti nel cervello. Le immagini della risonanza parlavano chiaro!

Dopo un minimo di 6 mesi di training, chi aveva iniziato a praticare la meditazione con costanza mostrava un maggiore afflusso di ossigeno e zuccheri verso alcune aree cerebrali. L’esperienza riportata dai soggetti sperimentali era una sensazione di maggiore pace, maggiore fiducia nelle proprie capacità, una sensazione di maggiore connessione agli altri.

La Mindfulness aiuta a gestire l’ansia e lo stress perchè è un modo diverso e del tutto nuovo di portare attenzione e consapevolezza al corpo: non per quello che ci toglie, ma per quello che ci dà. Mindfulness è ascolto e osservazione profonda e genuina di come stiamo, senza critica e senza giudizio. Ogni volta che ci serve, anche quando siamo avvolti nel dolore, possiamo trovare un po’ di pace ascoltando il respiro, dedicandogli la nostra attenzione. Questo basta a spegnere immediatamente il dolore acuto? No, ma aiuta a distogliere l’attenzione da qualcosa che ci fa stare male. E siccome l’essere umano è capace di portare “attenzione focalizzata” a una sola cosa per volta, si può allenare il cervello a non andare in automatico dove il dente duole (perchè quello il cervello fa!), e rivolgerlo invece con pazienza e gentilezza verso qualcos’altro. Verso una parte di noi che ci accompagna sempre e lavora instancabilmente per noi.
Quante volte ci pensiamo? Quante volte lo diamo per scontato? Vale per il respiro, così come per il battito cardiaco, o per l’assiduo lavoro dei nostri cinque sensi… e per qualsiasi parte di noi o fuori di noi che vogliamo esplorare con curiosità e attenzione rinnovata. Mindfulness è consapevolezza del momento presente: è l’esperienza del qui e ora per com’è, non per come lo vorremmo. È puntare il faro su ciò che c’è e ci sostiene, non su cosa ci manca. È la sensazione rassicurante di essere liberi di stare come stiamo. Non ci è richiesto altro.

La Mindfulness è di primaria importanza anche per trattare l’insonnia, che è tipica della fibromialgia, e che ritroviamo anche in altre condizioni cliniche. La Mindfulness per l’insonnia è uno dei passi fondamentali per comprendere e migliorare la qualità del sonno. Infatti è parte della Terapia Cognitivo-comportamentale per l’insonnia (CBT-i), ossia il protocollo d’intervento in uso in ogni centro di Medicina del Sonno, in Italia e all’estero.
Insomma, Fibromialgia e Mindfulness hanno ben qualcosa da dirsi!

RISORSE UTILI:
Sezione Fibromialgia dell’Istituto Superiore di Sanità
Approfondimenti su Mindfulness e pratica meditativa
Approfondimento su insonnia e CBT-i (Terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia)
E se vuoi semplicemente raccontarmi la tua esperienza con la fibromialgia, puoi scrivermi a pecorara@gmail.com

Photo: Sidney Sims

SINDROME DA MANIPOLAZIONE AFFETTIVA, PARLIAMONE

manipolazione affettiva

Succede che ti senti in ansia e totalmente incompreso/a da chi invece dovrebbe proteggerti e amarti. Sei accusato/a di colpe che fatichi a capire. Al peggio, ti viene fatta una colpa anche di essere così come sei! E arrivi a dubitare di te, provi un senso crescente di confusione e malessere. È tutto normale?
No. Probabilmente sei nella morsa di un manipolatore, o di una manipolatrice. Può accadere in una relazione di coppia, tra amici, o anche in famiglia tra genitori e figli. La sostanza non cambia.

La manipolazione affettiva è una sorta di “gioco a due”, giocato da persone con caratteristiche complementari. Il “manipolatore” ha bisogno di mantenere il controllo e la percezione positiva di sé e di avere sempre ragione (a qualsiasi costo). La “vittima manipolata” è caratterizzata invece da un forte bisogno di fusione e approvazione, tanto da piegarsi al suo manipolatore, accettando tutto pur di non perderne il consenso.
Nei casi più gravi la manipolazione mette in discussione il senso stesso del sè della vittima. Del tipo: “Se non FAI questo per me, non SEI un buon figlio/amico/partner”.

Di solito non ci si accorge di essere manipolati, perchè i manipolatori sanno essere abili e accorti. Iniziano con piccole mosse di poco conto e pian piano alzano l’asticella senza che tu te ne accorga. Ti accorgi però di stare sempre più in ansia quando sei con questa persona. Cerchi di ignorare e tacitare questo malessere cercando “giustificazioni” per il comportamento del manipolatore, che chiede, pretende, controlla, giudica e sentenzia, ti dice cos’è bene e e cos’è giusto anche per te, sempre e solo onorando il suo punto di vista e mai il tuo o quello di altri. Ti ritrovi anche a difenderlo dalle critiche di chi magari vede ciò che tu ancora non vedi o non vuoi vedere. Fino a che, pur di non rinunciare al rapporto e deluderlo, finisci per sottometterti del tutto alla sua visione delle cose e al suo volere. Stando ancora e sempre più male. E come succede tutto questo?

Il manipolatore (o la manipolatrice)
Ti fa sentire in colpa: rigira le tue parole per farti sentire sbagliato/a e in torto nei suoi confronti
È un aggressore “passivo”: non affronta le questioni in modo diretto ma girandoci intorno. Utilizza modalità subdole per farti capire che non accetta ciò che sei e ciò che fai. Non avanza mai critiche costruttive: le sue sono critiche mirate a umiliare, indebolire e metterti in una posizione d’inferiorità
Nega di aver detto o fatto cose che ricordi bene al solo fine di difendersi e confonderti, fino a farti dubitare di te e della tua sanità mentale (effetto gaslight)
Finge di volerti sostenere o aiutare ma poi boicotta le tue iniziative in maniera sottile o finge innocenti dimenticanze
Accentra l’attenzione sui suoi problemi sminuendo i tuoi: se tu hai mal di testa il manipolatore ha un tumore! Se hai avuto una giornata impossibile, la sua è stata catastrofica. Non ascolta mai davvero, non dedica attenzione e pretende sempre di essere al centro del gioco. Se glielo fai notare ti accusa di essere paranoico/a
Attribuisce ad altri la responsabilità dei suoi comportamenti: se si comporta male la colpa è sempre di qualcosa che hanno fatto gli altri, mai si assume la sua
Influenza lo stato d’animo degli altri attraverso il “ricatto emotivo” per cui tutti finiscono col preoccuparsi di non farlo/a arrabbiare, e col rimediare a ciò che lo/a infastidisce
Sa usare molto bene le parole: occasionalmente può lodarti o farti belle promesse e allusioni, a cui però non seguono mai fatti significativi. Solo parole, niente fatti!

Il meccanismo della manipolazione inizia in maniera subdola e prende piede nel tempo, con una velocità e una definitezza che dipendono direttamente dalla resistenza della “vittima”; così possiamo trovarci di fronte a manipolazioni discrete e occasionali che restano tali per mesi o anni, oppure evolvere rapidamente nel segno della violenza psicologica e fisica conclamata.

Ma com’è possibile sprofondare in queste relazioni senza accorgersene? Spesso mi si chiede con legittimo stupore: “Ma com’è possibile che in tanti anni non me ne sia mai accorta??”
Se parliamo di relazioni di coppia, il manipolatore inizialmente si presenta come una persona sensibile, brillante, molto interessata alle tue necessità. È un gran seduttore (o seduttrice), ci sa fare! Gli serve per entrare nel tuo spazio personale e mettersi comodo/a. Ma nel corso del tempo diventa chiaro che l’unico scopo è garantire i propri interessi e mantenere potere e controllo su di te, in modo da averti sempre a totale disposizione, senza mai concedere nulla in cambio e nemmeno preoccuparsi di come stai e di quali bisogni hai tu.

Se la manipolazione diventa la modalità prevalente nel rapporto, inizierai a sentire che “qualcosa non va” e col tempo potrai sperimenta uno o più di questi sintomi (che costituiscono quella che si potrebbe chiamare Sindrome da Manipolazione Affettiva):

• Incubi o sogni inquietanti ricorrenti
• Scarsa fiducia nel proprio senso della realtà (messo sempre in discussione dal manipolatore)
• Frequente sensazione di sconcerto o confusione
• Incapacità di ricordare i dettagli delle discussioni col manipolatore
• Sintomi ansiosi: disturbi gastrici, tachicardia, senso di costrizione al petto, attacchi di panico
• Sensazione cronica di frustrazione e insoddisfazione (perchè i propri legittimi bisogni sono sempre invalidati)
• Timore o agitazione in presenza del manipolatore
• Continui tentativi di rassicurare sè e gli altri che tutto va bene
• Senso di compromissione della propria integrità e dignità
• Gli amici e i parenti fidati esprimono preoccupazione e disappunto per questo rapporto, vedendo ciò che tu ancora non vedi
• Tristezza, fino alla depressione
• Rabbia e forte inquietudine

La Manipolazione Affettiva svilisce la persona che la subisce e la destabilizza profondamente, poiché tutti gli sforzi della vittima sono tesi a ottenere l’approvazione del manipolatore, a non deluderlo, a non perderlo, e così ci si trova a rinunciare a ciò che si pensa, a ciò che si prova, alla soddisfazione dei propri bisogni. Si rinuncia a se stessi per diventare la pedina perfetta del manipolatore.

Ricorda sempre che tutti possiamo essere vittime di manipolazione affettiva e questo non ha niente a che fare con la nostra “intelligenza”!
La manipolazione agisce sulle dinamiche affettive, sulle nostre emozioni più profonde, e per questo riesce ad aggirare le nostre “difese intellettive”.

Solo allenandoci alla consapevolezza di ciò che succede nella relazione, imparando a riconoscere gli schemi che si ripetono, puntando il faro sul comportamento tipico del manipolatore e la nostra reazione automatica a questo comportamento, diventiamo capaci d’individuare il gioco manipolatorio e togliergli potere. Se riconosco il gioco e non mi presto più a giocare, il manipolatore non ha più appigli, non può giocare da solo!

Se sospetti di essere vittima di Manipolazione Affettiva (in famiglia, in coppia o tra amici), trova la forza di parlarne e spezzare il gioco. E se hai bisogno di supporto, sono qui per ascoltarti.

I MIGLIORI ARTICOLI ARTICOLI DIVULGATIVI IN INGLESE CHE HO TROVATO:
1. https://www.talentsmarteq.com/articles/9-Signs-Youre-Dealing-With-an-Emotional-Manipulator-2147446691-p-1.html/
2. https://www.webmd.com/mental-health/signs-manipulation

IN TEMA:
Se Lady Gaga parla di salute mentale
https://www.rossanasilviapecorara.com/se-lady-gaga-parla-di-salute-mentale/
Truffe “romantiche” in Cassazione
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Ph: Georgy Rudakov

SORELLANZA, IL SUPERPOTERE DELLE EXPAT

sorellanza il superpotere delle expat

Fare rete tra expat è vitale, come ci raccontano Silvia, Giulia e Irene.
E se sei proprio fortunata, troverai le migliori amiche di sempre…

Quando s’inizia una nuova vita all’estero da sole, sapere di poter contare su una rete di amicizie fidate, pronte a dare una mano quando serve, può fare la differenza. Perchè la sorellanza conta ed esserci l’una per l’altra è una garanzia.

Nella tua vita da expat conoscerai innumerevoli persone, alcune nate o cresciute proprio lì dove tu sei appena arrivata, e altre che si sono spostate come te dal tuo stesso Paese.
È importante rimanere connesse con le une e con le altre, ma a volte aiuta di più sapere di condividere lo stesso percorso e le stesse difficoltà. E aiuta potersi confidare nella propria lingua, certe che chi vi ascolta non ha bisogno di traduzioni nè linguistiche nè culturali.

Silvia, Giulia e Irene si sono felicemente trasferite dalla Lombardia a Berlino ormai da tempo, e condividono qui la loro esperienza e un po’ di consigli preziosi…

Silvia, bresciana e mamma di un bimbo di due anni, è musicista e cantoterapeuta.
Lavora con bambini e adulti e si è trasferita a Berlino nel 2016 per coltivare il sogno della musica e del canto, anche sfidando il volere della sua famiglia.
“Sono arrivata da sola a Berlino ma avevo già qualche amicizia sul posto: una coppia di miei cari amici, anche loro bresciani, il mio fidanzato di allora (tedesco) e la sorella di mia zia. Sono una persona molto estroversa e non ho fatto fatica a trovare nuove amicizie. Prima di partire mi sono informata a lungo sulla vita da expat a Berlino e l’ho fatto anche partecipando attivamente a gruppi Facebook dedicati. Devo dire che questi gruppi sono molto utili per trovare informazioni e contatti, aiutano a fare rete e non sentirsi sole.”

Ce lo conferma anche Irene. Milanese, danzatrice tribal-fusion, istruttrice yoga e mamma di un bimbo che va all’asilo. “Prima di vivere stabilmente a Berlino, ho vissuto per molti anni andando avanti e indietro tra Italia, Spagna e Germania. Quando ho deciso di fermarmi, nel 2014, non avevo grandi conoscenze in città, giusto qualche appoggio. È stata la danza a portarmi qui. Berlino è la metropoli perfetta per chi vuole lavorare in ambito artistico. Sono arrivata da sola, con la mia macchina e 300€ in tasca. Ho cercato contatti e informazioni nei gruppi Facebook, capendo in fretta che, più che spettacoli nei locali, a Berlino tutti fanno spettacoli in strada. Così seguivo e partecipavo a tutti gli eventi più interessanti legati alla danza e alla musica e ho conosciuto tanta gente, soprattutto expat italiani, ma anche sudamericani, israeliani, altri europei… A quei tempi ero l’unica performer a insegnare tribal fusion in tutta Berlino e partecipando a questi eventi artistici mi sono fatta conoscere e molti cominciavano a frequentare le mie lezioni. Così ho creato il mio giro qui e funziona tuttora molto bene.”
“Ho conosciuto Silvia a uno dei miei corsi (yoga post partum) e siamo diventate molto amiche perchè condividiamo la passione per la musica, la danza e le arti performative in generale. Tante cose ci legano: siamo italiane, siamo mamme single a Berlino, lavoriamo in campo artistico ed è stato naturale anche iniziare a collaborare… Abbiamo ideato dei workshop di yoga post partum abbinati a musicoterapia e cantoterapia per mamme e bebè”

Mi dice Silvia: “Contare su Giulia e Irene è sapere di contare su amiche che vivono le stesse difficoltà che posso incontrare io come expat italiana a Berlino, lottiamo per le stesse cose. E so anche di condivere con loro la stessa energia e lo stesso entusiasmo nel portare avanti un lavoro creativo. Qui è molto diverso che in Italia: ti senti supportata e stimolata da tutta la comunità artistica, c’è una sensibilità particolare e te ne accorgi. In Italia ti senti spesso sola perchè c’è molta competizione e poca condivisione.”

Giulia, fiera cremasca, è coreografa e performer di danza percussiva. Ha viaggiato fin da bambina in Italia e all’estero per seguire la passione della danza (prima classica e poi contemponanea). La sua passione è diventata ben presto un lavoro, con audizioni in tutta Europa. Prima di fermarsi a Berlino, Giulia ha vissuto e lavorato ad Atene per circa un anno in una compagnia di danza con ballerini anche diversamente abili.
Mi racconta: “L’esperienza ateniese è stata bellissima e mi ha dato tanto, ma a Berlino avevo costruito amicizie forti in collaborazioni artistiche precedenti e quell’energia mi mancava parecchio. Posso dire anch’io come Silvia che qui ho visto tanta più collaborazione che competizione. Ho amicizie forti nel mondo della danza anche in Italia, ma si tratta di amicizie storiche, amiche con cui ho condiviso la quotidianità per anni. Queste nuove amicizie berlinesi sono invece nate e cresciute in pochissimo tempo e questa cosa mi colpisce sempre! Ho capito che la metropoli ti porta a creare legami molto forti in brevissimo tempo, soprattutto in ambito artistico e soprattutto tra donne. Si crea facilmente uno scambio autentico e un senso di connessione. E stato così che mentre ero ad Atene una carissima amica israeliana, conosciuta solo un anno prima a Berlino, mi ha fatto sapere di opportunità interessanti di lavoro in città. E sono tornata qui. Per me Berlino è diventata una base, perchè nel frattempo ho continuato a viaggiare tantissimo per cogliere altre opportunità di danza e teatro in Europa. Quindi all’inizio lavoravo, cercavo casa e imparavo il tedesco. Proprio in un corso di lingua ho conosciuto un’altra ragazza italiana, che si chiama come me, è che è diventata una delle mie migliori amiche e poi anche coinquilina. Solo molti anni dopo essere arrivata a Berlino ho conosciuto Silvia, perchè il batterista della sua band lavora nella mia compagnia di danza percussiva e condividevamo la sala prove. L’amicizia con Silvia si è fatta più profonda quando è venuta ad assistere a un mio spettacolo e ha voluto diventare mia allieva. Intanto io l’avevo ascoltata cantare ed ero rimasta colpita da quanto talento avesse nelle corde vocali! E così abbiamo deciso di collaborare a un progetto che ho costruito appositamente per lei e per le mie allieve. Questa collaborazione ci ha unito tantissimo sul piano artistico e sul piano personale. Anche se non ci vediamo spesso, io so di esserci per lei e lei c’è per me. In momenti critici della nostra vita ci siamo confidate a cuore aperto, abbiamo ricevuto sostegno e forza l’una dall’altra. Non c’era nemmeno bisogno di chiedere di vedersi: semplicemente è successo.”

Essere all’estero da sole significa proprio questo: conoscere nuove persone sulle quali potrai contare e che in breve tempo diventeranno la tua “famiglia”.
Tu ci sei per loro e loro ci sono per te. Anche senza dirselo apertamente.
È difficile da credere per chi non ha mai vissuto da expat.

Irene e Silvia mi confidano che “quando arrivi a Berlino si parla in inglese tra noi expat, perchè pochi sanno il tedesco, che non è facile da imparare. Ma ad un certo punto se vuoi rimanere e hai un bambino da crescere da sola devi sapere bene la lingua.”
Anche Giulia mi parla di quanto sia importante imparare il tedesco e farlo frequentando dei corsi intensivi in presenza (pandemia permettendo) per conoscere altre persone che stanno facendo il tuo stesso percorso, magari connazionali, ma non per forza. L’empatia nasce quando si condividono le stesse tappe obbligate, quando ci s’impegna per superare gli stessi ostacoli e sai bene cosa sta passando l’altro. Conosci ciò che per cui sta lottando e ciò per cui gioisce: il senso di solidarietà scatta proprio qui!

È chiaro però che la lingua in cui ci si confida di più e meglio resta la propria madrelingua, che si porta dietro accenti, ricordi, emozioni e tratti culturali che non è facile replicare in una lingua appresa più tardi nella vita, anche se molto bene.
“Per questo” continua Irene “prima da sola, e poi con Silvia, l’idea è stata quella di organizzare gruppi di yoga pre e post partum in italiano per mamme italiane, perchè l’italiano resta per noi e per loro la lingua dell’empatia e della condivisione.”

Le storie appassionanti di Silvia, Giulia e Irene (e quanto ci sarebbe ancora da raccontare delle loro vite!) ci confermano ancora una volta che è bene dar retta alle proprie passioni e condividerle, che è bene aver sete di conoscenza e di nuove esperienze. E che non dobbiamo temere di far sacrifici per raggiungere i nostri obiettivi perchè in tutto questo non siamo mai sole… Il superpotere delle expat, la sorellanza, brilla più che mai!

Photo Credits:
Juan Saez per Irene (a sinistra). Puoi seguire Irene qui
Federica Villi per Silvia (al centro). Puoi seguire Silvia qui
Moranika Wetzig per Giulia (a destra). Puoi seguire Giulia qui

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Coppie miste, la sfida della complessità
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Stefania: la mia vita da expat in Thailandia
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LA SCUOLA AI TEMPI DEL COVID: HOMESCHOOLING E UNSCHOOLING

La scuola ai tempi del Covid Homeschooling e Unschooling

Esistono alternative all’istruzione scolastica (pubblica o privata) come la conosciamo?
La risposta è… sì! Homeschooling e Unschooling possono essere valide alternative al sistema scuola ai tempi del Covid e non solo.

Ma come? -vi chiederete- la scuola è obbligatoria!
La verità è che è l’istruzione a essere obbligatoria (e ci mancherebbe!) ma non la scuola in sè. Formare e istruire i propri figli in famiglia non è un’eresia o una nuova moda. I paesi anglosassoni lo definiscono Homeschooling e le sue radici sono antiche e ben salde. È solo in epoche recenti, in particolar modo negli ultimi due secoli, che si è fatta strada l’idea di “scuola” che tutti conosciamo e che la maggior parte di noi ha frequentato.

Fino alla metà dell’800 era comune tra le classi sociali più abbienti educare i propri figli a casa, con l’ausilio di tutor e insegnanti retribuiti; spesso erano gli stessi genitori, a loro volta istruiti, a prendersi cura dell’istruzione dei piccoli.
Questo meccanismo contribuiva a perpetuare le ingiustizie sociali e le differenze di classe perché chi aveva ricevuto una buona educazione poteva, a sua volta, educare i propri figli e chi non l’aveva ricevuta, e lavorava tutto il giorno nei campi o nelle prime fabbriche, non aveva certamente i mezzi, il tempo o il denaro per occuparsene. In questo modo i figli dei contadini erano destinati a rimanere contadini, così come i figli degli operai erano destinati a diventare operai.
L’avvio della scuola pubblica statale, gratuita e accessibile a chiunque, avrebbe permesso di attivare un processo positivo di “mobilizzazione sociale”, di ridistribuzione del sapere tra i ceti. Secondo la “legge Casati”, tutti i bambini dovevano imparare a “leggere, scrivere e far di conto”.

Solo verso la metà del ‘900 si alzano le prime grandi obiezioni alla presunta efficacia del sistema pubblico di educazione scolastica. A quell’epoca le critiche erano prevalentemente di tipo politico e socio-culturale. Si obiettava che l’istruzione pubblica fosse spersonalizzante e distante dai bisogni del bambino, che veniva incanalato (potremmo dire anche “ingabbiato”) in un processo educativo standardizzato, massificato, che non riconosce più la sua educazione come fine ultimo; il fine è la sopravvivenza stessa della grande macchina statale e dei suoi interessi politici, sociali ed economici.

La scuola pubblica, protestavano i suoi detrattori, non cresceva uomini e donne liberi, non si occupava di coltivare e promuovere i loro interessi, ma forgiava pedine asservite a un sistema che aveva il solo scopo di alimentare se stesso.

Da queste critiche più radicali nasce l’Unschooling, secondo cui il bambino apprende solo ciò che è pronto ad apprendere, nel momento in cui è pronto per farlo. A nulla serve una scuola che impone ex cathedra programmi, orari e tabelle di marcia.
Più di recente, a queste osservazioni, si aggiungono quelle che puntano il dito contro un ambiente scolastico contaminato dal rischio di bullismo e di altri gravi episodi di violenza fisica e verbale; dal consumo e dallo spaccio di stupefacenti appena fuori dalle aule, e dalla promiscuità sessuale. Con l’impossibilità del personale scolastico di accorgersi di ogni segnale di disagio o di rispondervi efficacemente.

Pur lasciando le questioni sociali e politiche da parte, se si desidera che i propri figli siano liberi di crescere e apprendere in un contesto di attento ascolto, secondo il loro passo e secondo la loro più autentica natura, è necessario tornare a occuparsene in prima persona, senza delegarne la formazione.

Di fatto non occorre andare a scuola per imparare, perché con l’aiuto dei genitori (e di tutor o insegnanti per qualche specifica materia) si può sviluppare in autonomia un progetto formativo di base, integrandolo e arricchendolo con ciò che piace e interessa di più. In realtà con l’homeschooling si può imparare ben di più che a scuola! Perchè, accanto ai contenuti base, si scelgono temi e attività che il bambino vuole studiare e approfondire e che la scuola non prevede.

Siamo abituati a credere che il bambino vada “stimolato” come fosse qualcosa d’inerte e passivo, in cui inserire nozioni come fossero sale nell’acqua di cottura della pasta; invece il bambino è una formidabile creatura che trascorre tutto il suo tempo osservando, esplorando, esercitando i sensi e l’intuito, imparando e mettendosi continuamente alla prova con entusiasmo. Possiamo proporre nuove attività e fornire spunti, ma è più facile che sia lui a condurci là dove sono i suoi interessi per chiederci di guidarlo a saperne di più.

Se l’homeschooling è stata la naturale via della trasmissione culturale fino a due secoli fa, possiamo definirla una pratica attuale e innovativa? La mia risposta è sì. L’homeschooling è attuale perché in tempi incerti come i nostri, scossi da crisi sanitarie, geopolitiche e climatiche, il sistema scuola come lo conosciamo regge a fatica gli urti: può solo tamponare le falle e istituire piani di emergenza. È chiaro che la pandemia da Covid ha colto tutti di sorpresa e ci si è attrezzati come si poteva, ma questa non può e non dev’essere la scuola del futuro.

Ecco che homeschooling e unschooling mostrano tutta la loro attualità e capacità d’innovazione:
• ATTUALITA’, perché prevedere più momenti a casa e in famiglia potrebbe diventare una nuova consuetudine
• CAPACITA’ D’INNOVAZIONE, perché l’homeschooling è un sistema flessibile e personalizzato, calibrato sui bisogni della famiglia e del bambino, che utilizza e integra tutte le tecnologie a disposizione. Fa del mondo stesso la propria scuola e di ogni attività una possibilità di crescita e apprendimento. 

Ma è anche bene mettere in chiaro che l’homeschooling e l’unschooling non si adattano necessariamente alle esigenze e ai ritmi di ogni singola famiglia. Prima di compiere una scelta in questa direzione, occorre valutare alcuni nodi critici, fisiologici direi, dell’educazione in famiglia.
Proprio qui sta il senso e l’intento della mia audioguida. Offrirvi le mie riflessioni ragionate sull’istruzione in famiglisecondo un taglio psicologico e neuropsicologico, perché questa è la mia formazione.

Per chi se lo chiedesse, dato che siamo in tema, ho sempre frequentato la scuola pubblica, dall’asilo fino al conseguimento della laurea in Psicologia, e poi del dottorato in Scienze Cognitive. Non si può dire che il mio percorso scolastico sia stato complicato o sfortunato! Ma da alunna mi sono imbattuta in situazione critiche, senza che mi si spiegasse che il sistema scolastico è un apparato che giustifica se stesso. È solo uno dei tanti modi della trasmissione culturale: non l’unico, non il migliore, né il più giusto. È bene saperlo. Ed è bene capire cosa sia l’homeschooling e quali le sue potenzialità per decidere in piena coscienza. E questo è il mio augurio per voi.

Homescooling e Unschooling. Pro e contro ai tempi del Covid
Download Mp3

E se vuoi valutare un percorso di Homeschooling sotto la mia consulenza, scrivimi a pecorara@gmail.com

IN TEMA:
Mindful Parenting e Baby Mindfulness
https://www.rossanasilviapecorara.com/mindful-parenting-e-baby-mindfulness/
Home Schooling, linee guida del MIUR
https://www.miur.gov.it/istruzione-parentale
Greta e la Sindrome di Asperger
https://www.rossanasilviapecorara.com/greta-e-la-sindrome-di-asperger/

IL CIBO? …FACCIAMOCI PACE!

Mindful eating

Mindul Eating è letteralmente nutrirsi con consapevolezza.
Non è tanto la conoscenza di quali vitamine o quante calorie stiamo introducendo, o da quale lontano o vicino paese arrivi la nostra mela. Consapevolezza è conoscenza, ma non astratta. È la conoscenza incarnata, e cioè l’esperienza, di ciò che succede quando i nostri 5 sensi incontrano la mela, quando la gustiamo al palato, quando ci prepariamo a deglutirla. E’ l’esperienza di noi e della mela mentre la stiamo mangiando.
E’ un’esperienza solo nostra e si potrebbe perfino dire che l’esperienza di ogni mela che mangiamo è diversa dalle innumerevoli altre, se proviamo a prestare attenzione.

Mindful Eating è ri-appropriarsi di una relazione autentica e diretta col cibo: un po’ come quando eravamo piccoli e una mela era una mela e passavamo del tempo a esplorarla e imparare qualcosa di lei e di noi.

Tra le più gravi disfunzioni del nostro tempo, ci sono i disturbi del comportamento alimentare: obesità, anoressia nervosa, bulimia, ortoressia. Sono tutte patologie della relazione col cibo. Detto semplicemente, una mela non è più una mela che ci nutre. È sempre qualcos’altro. E quando una mela, un cioccolatino, o un pezzo di pane diventa qualcos’altro per troppo tempo, iniziano i problemi.

Attraverso la via del Mindful Eating possiamo spezzare un legame patologico col cibo per riscoprirne la sua funzione autentica. È una via indicata per tutti, specialmente per chi è curioso di avvicinarsi al cibo per scoprire (o ri-scoprire) in quali e quanti modi possiamo farne esperienza. Per provare a nutrirsi in un modo più autentico e completo, e cioè saziando la totalità del nostro esser-ci e non solo lo stomaco.

Mindful eating non è una dieta ipocalorica, un regime alimentare o un’insieme di regole. Non è un modo per controllare i morsi della fame. Mindful eating aiuta a ritrovare il proprio personale equilibrio col cibo attraverso la consapevolezza di cosa avviene e come ci sentiamo quando mangiamo. Per questo è adatto a tutte le età e le condizioni fisiche e non ha controindicazioni.

Mindful eating è conoscenza, esplorazione, consapevolezza. Nasce come derivazione della Mindfulness, che è osservazione e accoglimento dei nostri processi interiori, senza critica e senza giudizio. È esperienza del qui e ora, del come stiamo momento per momento, così come il Mindful eating è l’esperienza sensoriale ed emozionale del cibo che mangiamo.

Qualcuno obietta che, nella vita frenetica di oggi, prestare attenzione al cibo mentre mangiamo, così come prestare attenzione ai nostri pensieri e alle emozioni mentre si manifestano alla coscienza, è un lusso che non tutti possono permettersi durante la giornata. Scopriremo invece che basta poco: che non tutto un intero pasto, o non tutti i pasti, devono per forza consacrarsi al mindful eating. E che quel poco o tanto che facciamo ogni giorno diventerà parte di noi, tanto che mangiare in consapevolezza diventerà una buona abitudine che non prenderà più tempo delle altre!
All’inizio costerà qualche sforzo di attenzione e un po’ di tempo in più, per poi diventare una modalità pratica e fluente. Come quando s’impara una nuova lingua. Con la differenza che questa lingua non è del tutto nuova per noi, da piccoli la conoscevamo bene!
Mi ricordo che da bambina mi piaceva togliere la pellicina agli spicchi d’arancia o di mandarino solo per scoprire le tante minuscole vescicole al suo interno. Le separavo e ne mangiavo qualcuna singolarmente: la assaporavo per bene e poi mi decidevo a mangiare l’intero spicchio. Era divertente scoprire quanto fosse strano un frutto!
Facci caso: quante volte vediamo i bambini masticare un pezzo di pane all’infinito… per loro è gioco, è esplorazione, è apprendimento, è esperienza sensoriale, è nutrimento. Vorremmo che i bambini consumassero i loro pasti rapidamente e senza tanti intermezzi come facciamo noi… In realtà non è affatto una perdita di tempo! La loro esperienza del cibo sazia la sana e gioiosa curiosità di chi ha da crescere e imparare: è sapienza innata, che noi abbiamo zittito crescendo e pagando lo scotto di frustrazioni e squilibri.

Più che perdere o guadagnare peso, cucinare e mangiare in modo mindful ci consente di lasciare alle spalle tutta la fatica di un rapporto difficile col cibo e ritrovarne il piacere, il senso profondo e la gratitudine!

E se vuoi saperne di più…
“Mindful eating. Nutrire la mente, nutrire il corpo”
(audioguida con esercizi e meditazioni guidate)
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Storytel
Audible (puoi ascoltare un breve estratto anche senza abbonamento)
E per un percorso di Mindful eating personalizzato, scrivimi a pecorara@gmail.com

IN TEMA:
Intervista su Mindful Eating
Mindfulness Qui e Ora
https://www.rossanasilviapecorara.com/mindfulness-qui-e-ora/

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