SIMONE BILES: ECCELLERE È QUESTIONE DI TESTA

Simone Biles eccellere è questione di testa

Simone Biles è una di quelle atlete fondamentali che più ci dimostrano che eccellere è questione di testa. Ce lo dimostra quando vince e ce lo dimostra ancor di più quando perde la rotta. Perchè quando Simon Biles perde la rotta non lo fa in modo qualsiasi, lo fa continuando a restare l’atleta eccellente che è.

Cosa me lo fa dire? Intanto una caratteristica fondamentale di chi eccelle è saper eccellere non solo quando le cose vanno bene, ma anche quando le cose vanno male.
Se tutto funziona è facile raggiungere grandi risultati. Ma quanti riescono a essere la migliore versione di se stessi anche quando le cose non funzionano?

Eccellere anche col vento contrario significa far del proprio meglio in una certa circostanza sfavorevole. Significa essere in ogni caso la migliore versione di se stessi e accogliere questa versione come legittima, anche se fallibile. Senza perdere lucidità e coinvolgimento.

E Simone Biles ci è riuscita, facendo le più opportune valutazioni e prendendo quelle decisioni che più risuonavano rispetto a come si sentiva. Ha saputo valutare con grande onestà, sensibilità e profondità le sue condizione psico-fisiche alle Olimpiadi di Tokio 2020. E ha agito di conseguenza. Perchè non accettare la propria vulnerabilità è mancare di rispetto alla persona che siamo.

Per chi non conosce la storia, ben documentata nella miniserie Netflix uscita da poco, a un certo punto la ginnasta super favorita per l’oro ha percepito che il suo corpo e la sua mente non erano allineati. Il corpo non pareva rispondere alle esigenze (e ai desideri) della mente e alle fortissime pressioni esterne. Ci vuole coraggio, onestà, grandissima capacità di valutazione e di decisione per confessare prima a se stessi, e poi a tutto il resto del mondo, che le proprie condizioni psico-fisiche non sono buone in un appuntamento così importante. Che forzare il corpo in quelle condizioni significava rischiare di farsi molto male, magari in modo permanente.

Questa è una delle lezioni più potenti di Simone Biles a Tokio 2020: in un certo momento eccellere può significare ascoltarsi e dar retta al proprio corpo che chiede di fermarsi. Per rigenerarsi e recuperare secondo i tempi e i modi che gli sono necessari. Per risalire la china ed essere di nuovo, e ancor di più, la campionessa capace d’imprese spettacolari. Non ha avuto paura o vergogna di fermarsi e fare un passo indietro.

Un’altra lezione che ci insegna la sua esperienza è non aver paura di ripartire da zero. Dallo zero assoluto. E se lo ha fatto lei con tutti i fari puntati addosso, possiamo farlo tutti noi. Lei, atleta pluridecorata che ha potuto dare il suo nome ad acrobazie che non erano riuscite a nessun altro, non ha avuto paura o vergogna di tornare sul tappetto elastico per fare semplicemente qualche salto. Di quei salti che avrebbe potuto fare un qualsiasi bambino su quel tappetto elastico. Non ha avuto paura o vergogna di ripartire da zero. Queste sono le premesse che la portano ora alle Olimpiadi di Parigi 2024 come una delle massime favorite. Di nuovo e ancor di più.

Il terzo insegnamento che ci lascia è che c’è un tempo per il Fare e c’è un tempo per l’Essere. Spesso, quando ci sentiamo carichi, ispirati e motivati, il tempo dell’Essere coincide con quello del Fare (e viceversa). Ma non è sempre sempre così. Quindi non bisogna avere paura o vergogna di lasciare indietro il Fare per tornare a Essere. È l’Essere che dà forma e significato al Fare e non il contrario. É questa la strada maestra per Eccellere. Perchè quando Eccellere è banalmente “performare” possiamo solo sperare che vada tutto bene. Quando invece Essere e Fare sono allineati riusciremo a eccellere qualsiasi siano le condizioni che incontreremo.

Se sei un atleta dilettante o professionista e necessiti di un percorso di Mental coaching mirato per le tue esigenze, scrivimi a pecorara@gmail.com

MENTAL COACHING: 3 CONSIGLI PER ECCELLERE
1. Non aver paura o vergogna di fermarti e fare un passo indietro, se necessario
2. Non aver paura o vergogna di ripartire da zero
3. Non aver paura o vergogna di lasciare indietro il Fare per tornare a Essere

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MICROBIOTA INTESTINALE E SALUTE MENTALE: L’ALBA DI UNA RIVOLUZIONE?

Microbiota intestinale e salute mentale

Microbiota intestinale e salute mentale sono connessi in modi profondi, impensabili solo fino a pochi anni fa. Siamo abituati ad associare un buon microbiota al benessere intestinale, ma certo non sospettiamo che possa farci sentire bene modulando l’ansia e lo stress.
Eppure da diversi anni i ricercatori accumulano chiare evidenze cliniche e scientifiche, tanto che non è esagerato pensare di trovarci all’alba di una rivoluzione medico-scientifica!
E sì, perchè tutto questo apre nuovi scenari per la comprensione della genesi dei nostri stati mentali, oltre che nuove forme di terapia farmacologica. Esaltante, no?

Ma facciamo un po’ di chiarezza.
Con “microbiota intestinale” s’intende il complesso di batteri, virus, funghi e lieviti che popolano il nostro intestino. I “batteri buoni” svolgono un ruolo cruciale, tra le altre cose, nella produzione di composti indispensabili alla vita, come vitamine, acidi grassi, aminoacidi e persino neurotrasmettitori, o loro precursori.
Con “microbioma” si intende invece la totalità del patrimonio genetico posseduto dal microbiota, cioè la varietà genetica che è in grado di esprimere.

Ora sappiamo dell’esistenza di una comunicazione bidirezionale tra intestino e cervello, chiamata appunto “Asse intestino-cervello” (Brain-Gut Axis). Ciò significa che il cervello comunica direttamente con l’intestino (attraverso neurotrasmettitori e vie neurali) ed altrettanto sa fare il nostro intestino comunicando in modo diretto col cervello attraverso le vie neurali bidirezionali e producendo a sua volta neurotrasmettitori o loro precursori.
Come lo fa? Non da solo, ma attraverso una fitta rete nervosa (il sistema nervoso enterico) e il lavoro del microbiota che produce molecole organiche vitali per tutto il nostro organismo, compreso il cervello.

E così un microbiota sano, e cioè costituito da numerose e variegate popolazioni di batteri e lieviti “buoni” (i probiotici), regola il nostro benessere fisico e quello mentale.
Chi provando ansia non ha sentito tutto anche nella pancia? È successo a chiunque! Ma ora sappiamo con precisione perchè succede e come; e indagare a fondo l’asse intestino-cervello ci permetterà di saperne ancora di più su come si generano i nostri stati mentali, cosa li mantengono, come e da cosa vengono influenzati e come possiamo agire strategicamente sul microbiota per migliorare il nostro benessere psicologico.
Ad esempio, possiamo già farlo prendendoci cura della nostra alimentazione, aumentando il consumo di alimenti ricchi di fibre prebiotiche (come frutta, verdura, legumi) o di alimenti che contengono naturalmente probiotici (i fermentati come yogurt, kefir, kombucha…). Oppure integrando classi specifiche di probiotici, come alcune specie di Lattobacilli e Bifidobatteri.

Forse siamo davvero all’alba di una rivoluzione: vuoi nella comprensione più accurata del cervello e della mente, vuoi nella formulazione mirata di integratori (prebiotici, probiotici e postbiotici) per favorire la nostra salute mentale, migliorare il sonno e potenziare le risorse cognitive.

Parlerò ancora di questi argomenti, è d’obbligo continuare ad approfondire!
Ma se nel frattempo vuoi saperne di più, scrivimi a pecorara@gmail.com

IN TEMA:
IL CIBO? …FACCIAMOCI PACE
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MICROBIOTA E CERVELLO
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• ASSE INTESTINO-CERVELLO: UNA REVIEW
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SINDROME DA MANIPOLAZIONE AFFETTIVA, PARLIAMONE

manipolazione affettiva

Succede che ti senti in ansia e totalmente incompreso/a da chi invece dovrebbe proteggerti e amarti. Sei accusato/a di colpe che fatichi a capire. Al peggio, ti viene fatta una colpa anche di essere così come sei! E arrivi a dubitare di te, provi un senso crescente di confusione e malessere. È tutto normale?
No. Probabilmente sei nella morsa di un manipolatore, o di una manipolatrice. Può accadere in una relazione di coppia, tra amici, o anche in famiglia tra genitori e figli. La sostanza non cambia.

La manipolazione affettiva è una sorta di “gioco a due”, giocato da persone con caratteristiche complementari. Il “manipolatore” ha bisogno di mantenere il controllo e la percezione positiva di sé e di avere sempre ragione (a qualsiasi costo). La “vittima manipolata” è caratterizzata invece da un forte bisogno di fusione e approvazione, tanto da piegarsi al suo manipolatore, accettando tutto pur di non perderne il consenso.
Nei casi più gravi la manipolazione mette in discussione il senso stesso del sè della vittima. Del tipo: “Se non FAI questo per me, non SEI un buon figlio/amico/partner”.

Di solito non ci si accorge di essere manipolati, perchè i manipolatori sanno essere abili e accorti. Iniziano con piccole mosse di poco conto e pian piano alzano l’asticella senza che tu te ne accorga. Ti accorgi però di stare sempre più in ansia quando sei con questa persona. Cerchi di ignorare e tacitare questo malessere cercando “giustificazioni” per il comportamento del manipolatore, che chiede, pretende, controlla, giudica e sentenzia, ti dice cos’è bene e e cos’è giusto anche per te, sempre e solo onorando il suo punto di vista e mai il tuo o quello di altri. Ti ritrovi anche a difenderlo dalle critiche di chi magari vede ciò che tu ancora non vedi o non vuoi vedere. Fino a che, pur di non rinunciare al rapporto e deluderlo, finisci per sottometterti del tutto alla sua visione delle cose e al suo volere. Stando ancora e sempre più male. E come succede tutto questo?

Il manipolatore (o la manipolatrice)
Ti fa sentire in colpa: rigira le tue parole per farti sentire sbagliato/a e in torto nei suoi confronti
È un aggressore “passivo”: non affronta le questioni in modo diretto ma girandoci intorno. Utilizza modalità subdole per farti capire che non accetta ciò che sei e ciò che fai. Non avanza mai critiche costruttive: le sue sono critiche mirate a umiliare, indebolire e metterti in una posizione d’inferiorità
Nega di aver detto o fatto cose che ricordi bene al solo fine di difendersi e confonderti, fino a farti dubitare di te e della tua sanità mentale (effetto gaslight)
Finge di volerti sostenere o aiutare ma poi boicotta le tue iniziative in maniera sottile o finge innocenti dimenticanze
Accentra l’attenzione sui suoi problemi sminuendo i tuoi: se tu hai mal di testa il manipolatore ha un tumore! Se hai avuto una giornata impossibile, la sua è stata catastrofica. Non ascolta mai davvero, non dedica attenzione e pretende sempre di essere al centro del gioco. Se glielo fai notare ti accusa di essere paranoico/a
Attribuisce ad altri la responsabilità dei suoi comportamenti: se si comporta male la colpa è sempre di qualcosa che hanno fatto gli altri, mai si assume la sua
Influenza lo stato d’animo degli altri attraverso il “ricatto emotivo” per cui tutti finiscono col preoccuparsi di non farlo/a arrabbiare, e col rimediare a ciò che lo/a infastidisce
Sa usare molto bene le parole: occasionalmente può lodarti o farti belle promesse e allusioni, a cui però non seguono mai fatti significativi. Solo parole, niente fatti!

Il meccanismo della manipolazione inizia in maniera subdola e prende piede nel tempo, con una velocità e una definitezza che dipendono direttamente dalla resistenza della “vittima”; così possiamo trovarci di fronte a manipolazioni discrete e occasionali che restano tali per mesi o anni, oppure evolvere rapidamente nel segno della violenza psicologica e fisica conclamata.

Ma com’è possibile sprofondare in queste relazioni senza accorgersene? Spesso mi si chiede con legittimo stupore: “Ma com’è possibile che in tanti anni non me ne sia mai accorta??”
Se parliamo di relazioni di coppia, il manipolatore inizialmente si presenta come una persona sensibile, brillante, molto interessata alle tue necessità. È un gran seduttore (o seduttrice), ci sa fare! Gli serve per entrare nel tuo spazio personale e mettersi comodo/a. Ma nel corso del tempo diventa chiaro che l’unico scopo è garantire i propri interessi e mantenere potere e controllo su di te, in modo da averti sempre a totale disposizione, senza mai concedere nulla in cambio e nemmeno preoccuparsi di come stai e di quali bisogni hai tu.

Se la manipolazione diventa la modalità prevalente nel rapporto, inizierai a sentire che “qualcosa non va” e col tempo potrai sperimenta uno o più di questi sintomi (che costituiscono quella che si potrebbe chiamare Sindrome da Manipolazione Affettiva):

• Incubi o sogni inquietanti ricorrenti
• Scarsa fiducia nel proprio senso della realtà (messo sempre in discussione dal manipolatore)
• Frequente sensazione di sconcerto o confusione
• Incapacità di ricordare i dettagli delle discussioni col manipolatore
• Sintomi ansiosi: disturbi gastrici, tachicardia, senso di costrizione al petto, attacchi di panico
• Sensazione cronica di frustrazione e insoddisfazione (perchè i propri legittimi bisogni sono sempre invalidati)
• Timore o agitazione in presenza del manipolatore
• Continui tentativi di rassicurare sè e gli altri che tutto va bene
• Senso di compromissione della propria integrità e dignità
• Gli amici e i parenti fidati esprimono preoccupazione e disappunto per questo rapporto, vedendo ciò che tu ancora non vedi
• Tristezza, fino alla depressione
• Rabbia e forte inquietudine

La Manipolazione Affettiva svilisce la persona che la subisce e la destabilizza profondamente, poiché tutti gli sforzi della vittima sono tesi a ottenere l’approvazione del manipolatore, a non deluderlo, a non perderlo, e così ci si trova a rinunciare a ciò che si pensa, a ciò che si prova, alla soddisfazione dei propri bisogni. Si rinuncia a se stessi per diventare la pedina perfetta del manipolatore.

Ricorda sempre che tutti possiamo essere vittime di manipolazione affettiva e questo non ha niente a che fare con la nostra “intelligenza”!
La manipolazione agisce sulle dinamiche affettive, sulle nostre emozioni più profonde, e per questo riesce ad aggirare le nostre “difese intellettive”.

Solo allenandoci alla consapevolezza di ciò che succede nella relazione, imparando a riconoscere gli schemi che si ripetono, puntando il faro sul comportamento tipico del manipolatore e la nostra reazione automatica a questo comportamento, diventiamo capaci d’individuare il gioco manipolatorio e togliergli potere. Se riconosco il gioco e non mi presto più a giocare, il manipolatore non ha più appigli, non può giocare da solo!

Se sospetti di essere vittima di Manipolazione Affettiva (in famiglia, in coppia o tra amici), trova la forza di parlarne e spezzare il gioco. E se hai bisogno di supporto, sono qui per ascoltarti.

I MIGLIORI ARTICOLI ARTICOLI DIVULGATIVI IN INGLESE CHE HO TROVATO:
1. https://www.talentsmarteq.com/articles/9-Signs-Youre-Dealing-With-an-Emotional-Manipulator-2147446691-p-1.html/
2. https://www.webmd.com/mental-health/signs-manipulation

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Truffe “romantiche” in Cassazione
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Ph: Georgy Rudakov

SORELLANZA, IL SUPERPOTERE DELLE EXPAT

sorellanza il superpotere delle expat

Fare rete tra expat è vitale, come ci raccontano Silvia, Giulia e Irene.
E se sei proprio fortunata, troverai le migliori amiche di sempre…

Quando s’inizia una nuova vita all’estero da sole, sapere di poter contare su una rete di amicizie fidate, pronte a dare una mano quando serve, può fare la differenza. Perchè la sorellanza conta ed esserci l’una per l’altra è una garanzia.

Nella tua vita da expat conoscerai innumerevoli persone, alcune nate o cresciute proprio lì dove tu sei appena arrivata, e altre che si sono spostate come te dal tuo stesso Paese.
È importante rimanere connesse con le une e con le altre, ma a volte aiuta di più sapere di condividere lo stesso percorso e le stesse difficoltà. E aiuta potersi confidare nella propria lingua, certe che chi vi ascolta non ha bisogno di traduzioni nè linguistiche nè culturali.

Silvia, Giulia e Irene si sono felicemente trasferite dalla Lombardia a Berlino ormai da tempo, e condividono qui la loro esperienza e un po’ di consigli preziosi…

Silvia, bresciana e mamma di un bimbo di due anni, è musicista e cantoterapeuta.
Lavora con bambini e adulti e si è trasferita a Berlino nel 2016 per coltivare il sogno della musica e del canto, anche sfidando il volere della sua famiglia.
“Sono arrivata da sola a Berlino ma avevo già qualche amicizia sul posto: una coppia di miei cari amici, anche loro bresciani, il mio fidanzato di allora (tedesco) e la sorella di mia zia. Sono una persona molto estroversa e non ho fatto fatica a trovare nuove amicizie. Prima di partire mi sono informata a lungo sulla vita da expat a Berlino e l’ho fatto anche partecipando attivamente a gruppi Facebook dedicati. Devo dire che questi gruppi sono molto utili per trovare informazioni e contatti, aiutano a fare rete e non sentirsi sole.”

Ce lo conferma anche Irene. Milanese, danzatrice tribal-fusion, istruttrice yoga e mamma di un bimbo che va all’asilo. “Prima di vivere stabilmente a Berlino, ho vissuto per molti anni andando avanti e indietro tra Italia, Spagna e Germania. Quando ho deciso di fermarmi, nel 2014, non avevo grandi conoscenze in città, giusto qualche appoggio. È stata la danza a portarmi qui. Berlino è la metropoli perfetta per chi vuole lavorare in ambito artistico. Sono arrivata da sola, con la mia macchina e 300€ in tasca. Ho cercato contatti e informazioni nei gruppi Facebook, capendo in fretta che, più che spettacoli nei locali, a Berlino tutti fanno spettacoli in strada. Così seguivo e partecipavo a tutti gli eventi più interessanti legati alla danza e alla musica e ho conosciuto tanta gente, soprattutto expat italiani, ma anche sudamericani, israeliani, altri europei… A quei tempi ero l’unica performer a insegnare tribal fusion in tutta Berlino e partecipando a questi eventi artistici mi sono fatta conoscere e molti cominciavano a frequentare le mie lezioni. Così ho creato il mio giro qui e funziona tuttora molto bene.”
“Ho conosciuto Silvia a uno dei miei corsi (yoga post partum) e siamo diventate molto amiche perchè condividiamo la passione per la musica, la danza e le arti performative in generale. Tante cose ci legano: siamo italiane, siamo mamme single a Berlino, lavoriamo in campo artistico ed è stato naturale anche iniziare a collaborare… Abbiamo ideato dei workshop di yoga post partum abbinati a musicoterapia e cantoterapia per mamme e bebè”

Mi dice Silvia: “Contare su Giulia e Irene è sapere di contare su amiche che vivono le stesse difficoltà che posso incontrare io come expat italiana a Berlino, lottiamo per le stesse cose. E so anche di condivere con loro la stessa energia e lo stesso entusiasmo nel portare avanti un lavoro creativo. Qui è molto diverso che in Italia: ti senti supportata e stimolata da tutta la comunità artistica, c’è una sensibilità particolare e te ne accorgi. In Italia ti senti spesso sola perchè c’è molta competizione e poca condivisione.”

Giulia, fiera cremasca, è coreografa e performer di danza percussiva. Ha viaggiato fin da bambina in Italia e all’estero per seguire la passione della danza (prima classica e poi contemponanea). La sua passione è diventata ben presto un lavoro, con audizioni in tutta Europa. Prima di fermarsi a Berlino, Giulia ha vissuto e lavorato ad Atene per circa un anno in una compagnia di danza con ballerini anche diversamente abili.
Mi racconta: “L’esperienza ateniese è stata bellissima e mi ha dato tanto, ma a Berlino avevo costruito amicizie forti in collaborazioni artistiche precedenti e quell’energia mi mancava parecchio. Posso dire anch’io come Silvia che qui ho visto tanta più collaborazione che competizione. Ho amicizie forti nel mondo della danza anche in Italia, ma si tratta di amicizie storiche, amiche con cui ho condiviso la quotidianità per anni. Queste nuove amicizie berlinesi sono invece nate e cresciute in pochissimo tempo e questa cosa mi colpisce sempre! Ho capito che la metropoli ti porta a creare legami molto forti in brevissimo tempo, soprattutto in ambito artistico e soprattutto tra donne. Si crea facilmente uno scambio autentico e un senso di connessione. E stato così che mentre ero ad Atene una carissima amica israeliana, conosciuta solo un anno prima a Berlino, mi ha fatto sapere di opportunità interessanti di lavoro in città. E sono tornata qui. Per me Berlino è diventata una base, perchè nel frattempo ho continuato a viaggiare tantissimo per cogliere altre opportunità di danza e teatro in Europa. Quindi all’inizio lavoravo, cercavo casa e imparavo il tedesco. Proprio in un corso di lingua ho conosciuto un’altra ragazza italiana, che si chiama come me, è che è diventata una delle mie migliori amiche e poi anche coinquilina. Solo molti anni dopo essere arrivata a Berlino ho conosciuto Silvia, perchè il batterista della sua band lavora nella mia compagnia di danza percussiva e condividevamo la sala prove. L’amicizia con Silvia si è fatta più profonda quando è venuta ad assistere a un mio spettacolo e ha voluto diventare mia allieva. Intanto io l’avevo ascoltata cantare ed ero rimasta colpita da quanto talento avesse nelle corde vocali! E così abbiamo deciso di collaborare a un progetto che ho costruito appositamente per lei e per le mie allieve. Questa collaborazione ci ha unito tantissimo sul piano artistico e sul piano personale. Anche se non ci vediamo spesso, io so di esserci per lei e lei c’è per me. In momenti critici della nostra vita ci siamo confidate a cuore aperto, abbiamo ricevuto sostegno e forza l’una dall’altra. Non c’era nemmeno bisogno di chiedere di vedersi: semplicemente è successo.”

Essere all’estero da sole significa proprio questo: conoscere nuove persone sulle quali potrai contare e che in breve tempo diventeranno la tua “famiglia”.
Tu ci sei per loro e loro ci sono per te. Anche senza dirselo apertamente.
È difficile da credere per chi non ha mai vissuto da expat.

Irene e Silvia mi confidano che “quando arrivi a Berlino si parla in inglese tra noi expat, perchè pochi sanno il tedesco, che non è facile da imparare. Ma ad un certo punto se vuoi rimanere e hai un bambino da crescere da sola devi sapere bene la lingua.”
Anche Giulia mi parla di quanto sia importante imparare il tedesco e farlo frequentando dei corsi intensivi in presenza (pandemia permettendo) per conoscere altre persone che stanno facendo il tuo stesso percorso, magari connazionali, ma non per forza. L’empatia nasce quando si condividono le stesse tappe obbligate, quando ci s’impegna per superare gli stessi ostacoli e sai bene cosa sta passando l’altro. Conosci ciò che per cui sta lottando e ciò per cui gioisce: il senso di solidarietà scatta proprio qui!

È chiaro però che la lingua in cui ci si confida di più e meglio resta la propria madrelingua, che si porta dietro accenti, ricordi, emozioni e tratti culturali che non è facile replicare in una lingua appresa più tardi nella vita, anche se molto bene.
“Per questo” continua Irene “prima da sola, e poi con Silvia, l’idea è stata quella di organizzare gruppi di yoga pre e post partum in italiano per mamme italiane, perchè l’italiano resta per noi e per loro la lingua dell’empatia e della condivisione.”

Le storie appassionanti di Silvia, Giulia e Irene (e quanto ci sarebbe ancora da raccontare delle loro vite!) ci confermano ancora una volta che è bene dar retta alle proprie passioni e condividerle, che è bene aver sete di conoscenza e di nuove esperienze. E che non dobbiamo temere di far sacrifici per raggiungere i nostri obiettivi perchè in tutto questo non siamo mai sole… Il superpotere delle expat, la sorellanza, brilla più che mai!

Photo Credits:
Juan Saez per Irene (a sinistra). Puoi seguire Irene qui
Federica Villi per Silvia (al centro). Puoi seguire Silvia qui
Moranika Wetzig per Giulia (a destra). Puoi seguire Giulia qui

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IL CIBO? …FACCIAMOCI PACE!

Mindful eating

Mindul Eating è letteralmente nutrirsi con consapevolezza.
Non è tanto la conoscenza di quali vitamine o quante calorie stiamo introducendo, o da quale lontano o vicino paese arrivi la nostra mela. Consapevolezza è conoscenza, ma non astratta. È la conoscenza incarnata: l’esperienza di noi e della mela mentre la stiamo mangiando. E’ ciò che succede quando i nostri 5 sensi incontrano la mela, quando la gustiamo al palato, quando ci prepariamo a deglutirla.
Si tratta di un’esperienza solo nostra e si potrebbe perfino dire che l’esperienza di ogni mela che mangiamo è diversa da tutte le altre, se proviamo a prestare sufficiente attenzione.

Mindful Eating è ri-appropriarsi di una relazione autentica e diretta col cibo: un po’ come quando eravamo piccoli e una mela era una mela e passavamo del tempo a esplorarla e imparare qualcosa di lei e di noi.

Tra le più gravi disfunzioni del nostro tempo, ci sono i disturbi del comportamento alimentare: obesità, anoressia nervosa, bulimia, ortoressia. Sono tutte patologie della relazione col cibo. Detto semplicemente, una mela non è più una mela che ci nutre. È sempre qualcos’altro. E quando una mela, un cioccolatino, o un pezzo di pane diventa qualcos’altro per troppo tempo, iniziano i problemi.

Attraverso la via del Mindful Eating possiamo spezzare un legame patologico col cibo per riscoprirne la sua funzione autentica. È una via indicata per tutti, specialmente per chi è curioso di avvicinarsi al cibo per scoprire (o ri-scoprire) in quali e quanti modi possiamo farne esperienza. Per provare a nutrirsi in un modo più autentico e completo, e cioè saziando la totalità del nostro esser-ci e non solo lo stomaco.

Mindful eating non è una dieta ipocalorica, un regime alimentare o un’insieme di regole. Non è un modo per controllare i morsi della fame. Mindful eating aiuta a ritrovare il proprio personale equilibrio col cibo attraverso la consapevolezza di cosa avviene e come ci sentiamo quando mangiamo. Per questo è adatto a tutte le età e le condizioni fisiche e non ha controindicazioni.

Mindful eating è conoscenza, esplorazione, consapevolezza. Nasce come derivazione della Mindfulness, che è osservazione e accoglimento dei nostri processi interiori, senza critica e senza giudizio. È esperienza del qui e ora, del come stiamo momento per momento, così come il Mindful eating è l’esperienza sensoriale ed emozionale del cibo che mangiamo.

Qualcuno obietta che, nella vita frenetica di oggi, prestare attenzione al cibo mentre mangiamo, così come prestare attenzione ai nostri pensieri e alle emozioni mentre si manifestano alla coscienza, è un lusso che non tutti possono permettersi durante la giornata. Scopriremo invece che basta poco: che non tutto un intero pasto, o non tutti i pasti, devono per forza consacrarsi al mindful eating. E che quel poco o tanto che facciamo ogni giorno diventerà parte di noi, tanto che mangiare in consapevolezza diventerà una buona abitudine che non prenderà più tempo delle altre!
All’inizio costerà qualche sforzo di attenzione e un po’ di tempo in più, per poi diventare una modalità pratica e fluente. Come quando s’impara una nuova lingua. Con la differenza che questa lingua non è del tutto nuova per noi, da piccoli la conoscevamo bene!
Mi ricordo che da bambina mi piaceva togliere la pellicina agli spicchi d’arancia o di mandarino solo per scoprire le tante minuscole vescicole al suo interno. Le separavo e ne mangiavo qualcuna singolarmente: la assaporavo per bene e poi mi decidevo a mangiare l’intero spicchio. Era divertente scoprire quanto fosse strano un frutto!
Facci caso: quante volte vediamo i bambini masticare un pezzo di pane all’infinito… per loro è gioco, è esplorazione, è apprendimento, è esperienza sensoriale, è nutrimento. Vorremmo che i bambini consumassero i loro pasti rapidamente e senza tanti intermezzi come facciamo noi… In realtà non è affatto una perdita di tempo! La loro esperienza del cibo sazia la sana e gioiosa curiosità di chi ha da crescere e imparare: è sapienza innata, che noi abbiamo zittito crescendo e pagando lo scotto di frustrazioni e squilibri.

Più che perdere o guadagnare peso, cucinare e mangiare in modo mindful ci consente di lasciare alle spalle tutta la fatica di un rapporto difficile col cibo e ritrovarne il piacere, il senso profondo e la gratitudine!

E se vuoi saperne di più…
“Mindful eating. Nutrire la mente, nutrire il corpo”
(audioguida con esercizi e meditazioni guidate)
Download mp3
Storytel
Audible (puoi ascoltare un breve estratto anche senza abbonamento)
E per un percorso di Mindful eating personalizzato, scrivimi a pecorara@gmail.com

IN TEMA:
Intervista su Mindful Eating
Mindfulness Qui e Ora
https://www.rossanasilviapecorara.com/mindfulness-qui-e-ora/
Microbiota intestinale e salute mentale: l’alba di una rivoluzione?
https://www.rossanasilviapecorara.com/microbiota-intestinale-e-salute-mentale/

Ph: Henley Design Studio

AUDIOGUIDA PER L’INSONNIA: METODO CBT-I

AUDIOGUIDA PER L'INSONNIA: METODO CBT-I

Insonnia… Proviamo a sdrammatizzare?
Vediamo un po’. Hai provato a contare le pecorelle ma non funziona. Hai provato col bagno caldo e la musica soffusa prima di coricarti a letto e non funziona. Hai provato con la tisana rilassante e le campane tibetane. Poi hai visto per caso uno di quei format americani e ti sei persino lasciato cullare dal ronzio del phon. Nulla!
Come mai? Magari temi che la tua sia un’insonnia “incurabile”

La verità è che tanti dei presunti “rimedi” che mettiamo in atto sono inefficaci. A volte sono persino controproducenti: peggiorano la situazione e ci danno l’impressione che non ci sia proprio nulla da fare!
Una per tutte: “sforzarsi di dormire”. O peggio, tentare di recuperare durante il giorno il sonno perso nella notte. E peggio che mai, autoprescriverci sonniferi!
Sì, facciamo tutto in buona fede, convinti che la cosa serva. Vogliamo risolvere il problema. Ma sono mosse che non funzionano e notte dopo notte l’insonnia ci perseguita.

Negli anni la Medicina del Sonno ha studiato alcuni esercizi, semplici ed efficaci, per ritrovare il sonno perduto e il piacere di dormire.
Si tratta del PROTOCOLLO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE PER L’INSONNIA (metodo CBT-i). Un insieme di tecniche sperimentate da team di ricerca internazionali e proposte in tutti i centri di Medicina del Sonno

Se vuoi saperne di più, ho pubblicato una nuova audioguida per approfondire e praticare in autonomia gli esercizi che ho riassunto in 7 PASSI. Quali sono?
1. 
Diario del sonno
2.  Igiene del sonno
3.  Apprendimento per associazione
4.  Restrizione o compressione del sonno
5.  Intenzione paradossale
6.  Intervento cognitivo
7.  Mindfulness per l’insonnia
Sono alla portata di chiunque sia determinato a chiudere il capitolo della sua insonnia.

Dormire bene. Vincere l’insonnia in 7 passi
Versione CD
Versione MP3
Amazon Audible (puoi ascoltare un breve estratto anche senza abbonamento)

Vuoi prima ascoltare il demo gratuito? Niente paura… Lo trovi qui!
E se hai domande, dubbi o curiosità, o vuoi intraprendere il trattamento CBT-i, scrivimi a pecorara@gmail.com

IN TEMA:
Mindfulness Qui e Ora
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Dolore, ansia e insonnia: Fibromialgia e l’aiuto della Mindfulness
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UNA TERAPIA BEN FATTA NON DURA ALL’INFINITO

una terapia ben fatta non dura all'infinito

No, una terapia ben fatta non dura all’infinito. Parliamoci chiaro. Spesso l’idea di affrontare un percorso psicologico o psicoterapeutico, che si sa quando inizia e non si sa quando finisce, può suscitare timore o perplessità. E a ragione. Siamo abituati, ahimè, a sentire o leggere di terapie decennali, di consulenze a pagamento che non finiscono mai. 

Invece un percorso psicologico ben impostato deve cominciare a dare a breve i suoi primi frutti e deve poter terminare, di comune accordo tra professionista e paziente, in un lasso di tempo sensato. Di solito si tratta di un anno, un anno e mezzo, per la maggior parte dei casi. Fino a due anni per casi più complessi, con la possibilità di continuare a incontrarsi una tantum per vigilare sulla stabilità e sulla continuità dei progressi. Se questo tempo non basta, probabilmente il percorso non è adeguato ai bisogni del paziente. E continuerà a non esserlo pur prolungando i tempi della terapia.

Il terapeuta dovrebbe sempre verificare l’efficacia del suo intervento e se i risultati non ci sono, o sono scarsi, non è responsabilità del paziente. È responsabilità del professionista cambiare strategia terapeutica oppure inviare il proprio paziente ad altro professionista, psicologo/a o psichiatra, affinché possa trarre giovamento in un altro percorso.

Questi sono i diritti sacrosanti di un paziente, che ha facoltà di conoscere sempre tempi e strategie dell’intervento. Vale all’interno di uno studio psicologico, come di uno studio psichiatrico od oculistico o ginecologico. Perché la relazione di cura (quale che sia) ha sempre come obiettivo primario tutelare il paziente e tenerlo informato.

Anzi, la tutela e la corretta informazione del paziente, unite al rispetto assoluto per la sua persona, sono il primo strumento di cura che possiede un professionista della salute. Infatti solo attraverso il rispetto e la fiducia si può formare quella che si chiama alleanza terapeutica. Che è la buona disposizione del paziente ad affidarsi al curante e collaborare attivamente al percorso di cura.

L’alleanza terapeutica ovviamente non piove dal cielo. Si costruisce in un contesto di ascolto, rispetto, accoglimento. È fiducia reciproca, è la possibilità di lavorare bene insieme per un obiettivo comune. E le basi che si gettano al primo incontro con uno psicologo sono cruciali, includendo anche l’essere informati su quale sarà il lavoro terapeutico e una previsione dei suoi tempi. Se queste informazioni mancano o sono assai vaghe, il mio consiglio spassionato è di cercare un altro professionista.

Photo: Harry Sandhu

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COPPIE MISTE: LA SFIDA DELLA COMPLESSITÀ

COPPIE MISTE LA SFIDA DELLA COMPLESSITÀ

Le relazioni di coppia sono sempre un terreno delicato d’incontro e di scontro.
E quando si proviene da contesti culturali e sociali differenti la sfida si fa ancor più complessa.
In un mondo che va sempre più “globalizzandosi”, è comune imbattersi in coppie miste. Basti pensare che negli Stati Uniti i matrimoni interetnici sono più che raddoppiati tra il 1980 e il 2010. E mentre crescono le storie d’amore che superano felicemente le barriere culturali, cadono anche le nostre. Tra i millennials, 9 su 10 ritengono che i matrimoni misti non siano affatto un problema, mentre nel 2009 lo pensava il 56% e nel 1987 appena il 13% della popolazione Usa (fonte Pew Research Data Center).

Cosa ci dice questa tendenza? Che le nostre vite sono sempre più mescolate e se un tempo i “bianchi” frequentavano solo i bianchi, i “neri” solo i neri e così via, oggi non è più così. Anche sul posto di lavoro è facile incontrare persone delle più diverse origini.
Il punto è che spesso si ha paura di ciò che non si conosce. E frequentare colleghi di altre etnie o amici che stanno in coppie miste ci porta a saperne (o volerne sapere) qualcosa di più, al di là degli stereotipi e dei pregiudizi. Ci porta a incontrare le persone nel mondo reale per ciò che sono come individui. E così si scopre di avere tante cose in comune, più di quelle che apparentemente ci dividono. E magicamente la diffidenza iniziale si dissolve!

La storia di Sara è un ottimo esempio. Sara è di Napoli ma lavora a Milano da tempo nel campo della comunicazione. Conosce Ahmed nella birreria dove lui lavora come cuoco. È arrivato in Italia dall’Egitto ancora ragazzino, da solo.
Ahmed è musulmano, Sara si dichiara atea e sua mamma è una cattolica fervente. Le perplessità iniziali parevano legittime!

“Io, donna super indipendente, avevo paura che la sua cultura potesse limitarmi…” mi spiega Sara. “Il blocco iniziale è stata proprio la diffidenza reciproca. Lui pensava che io cercassi un diversivo, io che lui volesse comandarmi. Sono partita con mille preconcetti. Tanto per dirne una, ho subito chiarito che non mi sarei convertita e non avrei mai portato il velo. Poi lui mi ha raccontato che nemmeno le sue sorelle in Egitto lo portano. Ora conviviamo da tre anni, siamo innamorati e felici…
Io viaggio spesso per lavoro, sono una frana in casa e lui invece cucina e stira: insomma, chi lo direbbe mai? Può suonare strano a molti ma è la nostra quotidianità”.

Chiedo a Sara se nel corso della relazione siano emersi problemi dovuti a differenze culturali, al di là dei primi ingenui fraintendimenti della fase iniziale del rapporto.
“Il nostro scoglio più grande è sua madre. Il resto della famiglia mi ha accettato, mia mamma lo adora, ma sua madre ancora vorrebbe che il figlio ritornasse in Egitto a sposare una ragazza musulmana. Lui non rientra in patria da circa dieci anni per i problemi legati al regime militare, e non vede la madre da allora. Ahmed dice che quando lei potrà conoscermi di persona allora cambierà idea e mi accetterà… Io lo spero. Al momento questa è l’unica cosa che ogni tanto crea tensioni tra noi”.

Sara sta imparando l’arabo e leggendo il Corano, non per imposizione di Ahmed, ma per approfondire la sua cultura e le tradizioni della sua famiglia. E questa è proprio una delle chiavi principali per il successo di una coppia mista: essere aperti e curiosi della cultura dell’altro/a, mostrare interesse genuino per la lingua, le usanze, le storia, la letteratura. Perché il desiderio di conoscenza accorcia le distanze e moltiplica l’empatia.
“Non tutte le esperienze sono positive come la nostra, lo so bene. Secondo me molto dipende dalla volontà di comprendere davvero l’altra cultura e rispettarla” conclude Sara.

Impegnarsi per costruire insieme qualcosa che diventi “nostro” è la quintessenza di una buona relazione di coppia, qualsiasi coppia, nessuna eccezione. E quando storie di vita molto diverse s’incrociano, l’incontro può offrire ancora più opportunità di crescita , se solo sappiamo coltivarne la ricchezza di spunti e di visioni.
Fuor di retorica, le coppie miste sono la dimostrazione pratica, e spesso felice, che stare insieme celebrando e onorando le proprie differenze è possibile e auspicabile. Che le culture continuano a vivere, a fervere e rigenerarsi: non dentro camere a tenuta stagna, ma in un grande melting pot di genti, tradizioni e narrazioni tutte diverse, quasi mai incompatibili.

Possiamo pensare alle coppie miste un po’ come a laboratori in miniatura dove fermentano quei cambiamenti sociali e culturali che poi osserviamo nel mondo su scala macroscopica. È per questo che sono così interessanti!
Nessuno dice che sia sempre semplice, ma ne vale certamente la pena!
E se vuoi scrivermi la tua storia, puoi farlo qui: pecorara@gmail.com

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MINDFULNESS, QUI E ORA

Minfulness Qui e Ora

Forse sai già cos’è la Mindfulness, magari ne hai letto su qualche rivista o hai visto qualche video su YouTube. O magari non ti suona per nulla familiare.

La Mindfulness è una pratica di consapevolezza, un allenamento graduale e costante a essere presenti qui e ora, con il corpo e con la mente. Significa vivere prestando attenzione ai pensieri, alle emozioni, alle sensazioni corporee, senza esserne sopraffatti. Coltivando la fiducia di poter gestire cosa accade dentro e fuori di noi.

Quando siamo travolti da ansia, stress, preoccupazioni, complesse pianificazioni o sogni a occhi aperti, la nostra testa lavora e lavora, ma è come lo facesse a vuoto: una ruota che sgomma nella sabbia. Siamo nervosi e non concludiamo nulla. Che fare?

La Mindfulness è una pratica utile a rigenerare la mente ogni volta che si desidera, per ritrovare pace e quiete. Come? Riportando la mente al respiro, allenandola a percepire ciò che accade dentro e fuori il proprio corpo. Prendersi il tempo di osservare i propri pensieri e le proprie emozioni, ed essere capaci di ritornare al respiro quando lo desideriamo, ci àncora al tempo presente, ci restituisce fiducia nelle nostre capacità, ci avvicina agli altri, ci dona benessere. Ha persino il potere di trasformarci!

La Mindfulness è uno strumento psicologico che trae ispirazione dalla meditazione buddhista, ma non ha a che fare con la religione o la spiritualità, non è un addestramento a pensare che tutto vada bene per forza, non è una buona idea da mettere in pratica quando ci si ricorda. Soprattutto, meditare allenandosi alla consapevolezza non significa smettere d’imbattersi nelle difficoltà: significa essere più pronti ad affrontarle. Mindfulness è un modo di vivere, un modo di essere. Essere presenti a se stessi nella consapevolezza dell’unico momento che ci sia mai dato: qui e ora.

Diversi studi condotti nelle più prestigiose università del mondo confermano i benefici della meditazione come pratica quotidiana. È clinicamente dimostrato che la terapia cognitiva basata sulla Mindfulness dimezza il rischio di depressione anche in coloro che ne hanno già sofferto nelle forme più gravi. È efficace almeno quanto gli antidepressivi ma senza gli inevitabili effetti collaterali. È talmente efficace che al momento è una delle cure più raccomandate dall’Istituto per la salute e l’eccellenza clinica del Regno Unito. Meditare regolarmente riduce i livelli di ansia, depressione e irritabilità stabilizzando il tono dell’umore, migliora la memoria e la concentrazione, accresce la resistenza fisica e mentale. La Mindfulness è efficace persino nel limitare l’impatto di condizioni difficili come il dolore cronico e il cancro. Lo dimostrano le numerose e concordi evidenze cliniche. In sostanza è una potente alleata per la nostra salute fisica e mentale, un fattore importante di prevenzione.

Sembra molto semplice e per certi versi lo è. Fermarsi, ascoltare, lasciare che sia e lasciare che vada. Può trattarsi di sconforto, di rabbia, di un pensiero cupo rivolto a qualcosa che ci aspetta, può trattarsi di un ricordo del passato che ancora ci fa male, persino di un dolore fisico… La sostanza non cambia, l’efficacia rimane.

Se vuoi iniziare a praticare la Mindfulness, puoi farlo subito e in autonomia.
Con Voce in capitolo edizioni ho pubblicato un’audioguida (versione CD e versione MP3) che include 7 meditazioni guidate.
p.s. La trovi anche su Audible (ascolta un estratto anche senza abbonamento), GooglePlayStore, Il Narratore e Storytel… Buon ascolto!

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Fibromialgia e Mindfulness
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PSICOTERAPIA ON LINE: FUNZIONA?

psicoterapia online funziona

Non starò a fare tanti giri di parole. Sì, la psicoterapia online funziona e si sta diffondendo sempre più. Gli scenari del lavoro e le nostre stesse vite cambiano e le consulenze di tanti professionisti si adeguano. Vuoi per gli orari di lavoro che si dilatano, vuoi per le trasferte di lavoro sempre più frequenti, trovare un tempo e uno spazio liberi non è mai facile. C’è poi chi fa del viaggio uno stile di vita e appena può s’imbarca su un volo low-cost. Senza contare la rapida diffusione dei social e delle chat, che ci permette di restare connessi 24/24 h (o quasi). Perchè non approfittarne?

L’alleanza terapeutica, che è il fattore chiave del successo di una terapia psicologica, è indipendente dal mezzo di comunicazione usato tra terapeuta e paziente.

Pensa al grande lavoro di sostegno operativo e psicologico che svolgono da decenni enti come il Telefono Rosa o il Telefono Azzurro, solo attraverso la comunicazione telefonica. Oggi possiamo usare comodamente la videochat e oltre la voce possiamo veicolare l’immagine. È un grande passo che permette a molti professionisti, compresi noi psicologi, di svolgere via web il medesimo lavoro che si farebbe a tu per tu in studio.

Se per noi nati nel secolo scorso pare ancora un po’ strano, pensa ai millennial e alla loro confidenza innata con le chat, i social, le stories, la realtà virtuale e tutto il mondo del digitale. Insomma, prepariamoci… è solo questione di tempo!

AGGIORNAMENTO GENNAIO 2022
Cosa ne sarebbe stato del lavoro psicologico con i nostri pazienti se non avessimo avuto la possibilità di collegarci in rete nell’era Covid? Come avremmo potuto portare il nostro sostegno a tutti quelli che ne hanno avuto bisogno? Per molti mesi (e ancora adesso che aumentano i contagi per la variante Omicron) la terapia online è una risorsa imprescindibile per restare uniti e portare il nostro supporto ovunque serva.

Se vuoi saperne di più, scrivimi a pecorara@gmail.com

Photo: RawPixel

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STEFANIA: LA MIA VITA DA EXPAT IN THAILANDIA

Stefania: la mia vita da expat in Thailandia

Vita da expat: partire o restare?
Ci racconta la sua esperienza Stefania, sociologa della comunicazione e giornalista, che da 13 anni vive in Thailandia. Per la maggior parte del tempo abitando a Chiang Mai, e da due anni a Bangkok, che adora!
Una partenza semplice la sua? Zaino in spalla e via? Non proprio, dal momento che Stefania è partita con due gemelle di appena un anno e senza le spalle coperte da un contratto a tempo indeteminato con una multinazionale, come accade a molti che partono dall’Italia per lavoro.
Una partenza quindi coraggiosa, da ponderare e organizzare bene. Un’esperienza da raccontare, insomma! E allora immaginateci virtualmente davanti a un meraviglioso bouquet di frutta tropicale, matura e profumatissima, a parlare di scelte importanti, quelle che svoltano una vita per davvero.

RSP: Stefania, cosa ti ha portato via dall’Italia verso la Thailandia?
S: Quel che mi ha portato a lasciare l’Italia è stata l’Italia! La parte brutta della cultura italiana, intendo. E cioè il clientelismo, l’assenza di merito, il disinteresse per la cosa pubblica… quella spirale discendente di degrado urbano e sociale. E così andare a vivere all’estero per me è stato un passaggio naturale.

RSP: Vivi in Thailandia e lavori come giornalista free-lance da tanti anni: ti riconosci come nomade digitale?
S: Mi riconosco più nell’aggettivo che nel sostantivo. Non sarei riuscita a portare il mio lavoro con me se non ci fosse stata la rivoluzione digitale, ma non sono nomade. Anzi, direi che sono piuttosto stanziale! Il viaggio, semmai, è nel tempo. Considerato il fuso orario che mi separa dall’Italia (che è il paese con cui più lavoro), vivere in questo angolo di mondo mi ha offerto più tempo nelle mie giornate. Mi sveglio quando l’italia dorme ancora ed è tutto tempo “regalato”…

RSP: Non è raro che la vita da expat presenti complicazioni e imprevisti. A volte è semplicemente la nostalgia di “casa”, quella che un po’ romanticamente si chiama “expat blues“. E per te, quali sono stati i momenti più critici della tua vita da expat? Cosa ti ha permesso di superarli? 
S: Più che l’expat blues, ho provato infiniti momenti di expat joy! A me l’expat blues viene quando sto troppo a lungo lontano da qui… il passaggio dall’ora legale all’ora solare mi fa salire una malinconia! I momenti più critici della mia vita qui credo di averli provati all’inizio, quando mi sono trovata con due bimbe piccole nella casa che avevamo affittato e il giardino era infestato da centopiedi (che qui sono velenosi!). Per il resto, amo tutto: gli scrosci del monsone, le nuvole bianche che corrono veloci nel cielo, le rane di notte (le sento gracidare anche in città!)… e poi questo strano mix di tradizione e modernità, la cortesia e, non da ultimo, il fatto di sentirmi a casa in un posto che non è quello dove sono nata e cresciuta.

RSP: A chi sta decidendo proprio ora se fare questo grande passo o no, cosa diresti per aiutare a decidere in un senso (andar via dall’Italia) o nell’altro (restare)? 
S: Da tutti i miei viaggi, e preciso che avevo già vissuto all’estero in un doppio anno sabbatico prima dell’università, ho imparato che chi parte non è mai chi torna. Bisogna essere consapevoli che partire è mettersi in gioco al 100%: cambiano i rapporti, le prospettive, cambiamo noi, cambia veramente tutto! Quanto a prendere una decisione è facilissimo: a un certo punto, uno dei piatti della bilancia – partire o restare – peserà di più. La bilancia è il cuore. Si parte con il cuore, perché è dove sta il coraggio. Nessun calcolo potrà mai prevedere il futuro che è imprevedibile. Nel bene e nel male.

RSP: Certo, esiste un quota di rischio connessa all’andar via. Ma forse sottovalutiamo la quota di rischio che ci assumiamo col restare. Del tipo: cosa rischiamo di perdere a non partire? Quali opportunità non potremo cogliere? Di solito non ci pensiamo, perchè laddove le cose sono “ignote” tendiamo ad amplificare il rischio; se rimaniamo dove già stiamo è facile illuderci di saper tutto, di avere pieno controllo… Stefania, pensi di ritornare un giorno in Italia? E a quali condizioni? 
S:Torno ogni estate, ma non penso di ritornare per sempre. Non sopravviverei al primo inverno, mi mancherebbe la libertà, lo spazio, la natura e anche il fatto di sentirmi expat. Quella sensazione esaltante dell’aereo in decollo la provo ancora adesso!

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INFO UTILI
Ambasciata d’Italia a Bangkok
https://ambbangkok.esteri.it/it/

ECO-ANSIA, ATTACCHI DI PANICO E CRISI CLIMATICA

eco-ansia attacchi panico crisi climatica

L’eco-ansia, o ansia climatica, indica una preoccupazione e un’angoscia costante per il destino del pianeta e di tutte le specie viventi. Preoccupazione che nasce da come il cambiamento climatico impatta sulle nostre vite: siccità estrema e carenza d’acqua in alcune zone, alluvioni e rovesci catastrofici in altre, temperature roventi d’estate e miti d’inverno, desertificazione progressiva…

Come si può rimanere indifferenti e far finta di nulla? Certamente occorre agire e prendere provvedimenti prima che sia troppo tardi. I governi e le grandi industrie devono fare la loro parte e noi, come singoli cittadini, possiamo portare il nostro contributo con le scelte di tutti i giorni. Consumare di meno, e solo il necessario; riciclare e riusare evitando sprechi; e tante altre buone pratiche che si possono attuare. Se vuoi approfondire, qui trovi un’interessante infografica in 10 punti!

Ma che fare quando siamo inghiottiti in un vortice di panico e agitazione o se ci sentiamo sprofondare in una sensazione d’impotenza e disperazione? Quando una normale, sana “apprensione” per le sorti del pianeta diventa un assillo costante, che ci impedisce di vivere la nostra vita e ruba ogni nostra energia, è il momento di fermarsi e capire cosa sta succedendo.

L’eco-ansia, che nelle sue manifestazioni più intense può sfociare nell’attacco di panico, o in gesti autolesionistici anche gravi, può essere affrontata con un percorso psicologico in 3 passi.
1. Il primo passo è recuperare stabilità ed equilibrio per riportarsi in una condizione psico-fisica accettabile.
2. Il secondo passo è quello di ricostruire un senso di fiducia e di speranza nella possibilità dell’essere umano di trovare una via per limitare i danni al pianeta.
3. Il terzo passo è capire come continuare a sentirci impegnati e coinvolti nella sfida climatica senza perdere il significato e la direzione della nostra vita.

Sì, perchè “guarire dall’eco-ansia” non significa rendersi indifferenti al problema, ma raggiungere l’equilibrio e la stabilità necessaria per far fronte alle sfide senza sentirci sopraffatti e sconfitti in partenza.

Di eco-ansia soffrono anzitutto i ragazzi e le ragazze più giovani, più sensibili ed esposti alla colpevole spettacolarizzazione che i mass media spesso fanno della crisi climatica e dei disastri ambientali.

Se hai bisogno d’aiuto, non esitare ad aprirti e parlarne.
Se vuoi, mi trovi qui: pecorara@gmail.com

Photo: Tobias Rademacher

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MINDFULNESS PER EXPAT: PERCHÈ FUNZIONA

MINDFULNESS PER EXPAT

Mindfulness per Expat: funziona? E perchè?
La Mindfulness, ne avrai sentito parlare, è una pratica di consapevolezza, un allenamento graduale a riconnettersi al proprio mondo interiore: i cinque sensi, il respiro, il battito cardiaco e infine anche le nostre emozioni e tutti i pensieri.
Per certi aspetti è un tornare a casa nel nostro corpo e nelle nostre sensazioni.
Già… perché capita spesso che, tutti proiettati verso l’esterno (vuoi la carriera, la ricerca di un amore o nuove amicizie), ci dimentichiamo di chi siamo noi e di come stiamo. Non abbiamo tempo o non diamo sufficiente attenzione al nostro mondo interno, perchè il mondo là fuori prende il sopravvento e impegna tutte le nostre energie!

Questo è particolarmente vero per chi si trasferisce all’estero per lavoro e, tra gli expat, specialmente per chi è approdato da poco in un nuovo Paese e s’affaccia per la prima volta in una nuova vita.
È perfettamente naturale che in questo caso le energie e le attenzioni siano tutte rivolte all’esterno, fuori di sè: occorre adattarsi, trovare casa, fare nuove amicizie, integrarsi coi colleghi e sul posto di lavoro, imparare lingue, usi e costumi.
Questo è un processo mentale lungo, che impegna tante risorse cognitive. Non cè nulla di male! Ma un effetto collaterale è dimenticarsi di rivolgere anche attenzioni all’interno di sè: al come stiamo, al cosa ci sta capitando visto dall’interno. La conseguenza è che, dopo un po’, ci sentiamo stanchi, soli, svuotati. Abbiamo perso la connessione con l’interno!

Ecco che la Mindfulness, la regina tra le pratiche di consapevolezza e osservazione interiore, esprime tutto il suo potenziale. Come? Riportandoci gentilmente al “qui e ora” della nostra esperienza personale: cosa ci comunica il nostro respiro? Cosa ci comunicano i nostri 5 sensi? Come stiamo abitando il nostro corpo? Siamo presenti a noi stessi mentre facciamo le cose o siamo sempre portati via dai nostri pensieri e inseriamo il pilota automatico?

Allenarsi con la Mindfulness, in autonomia o con l’aiuto di un professionista, funziona nel “ricondurci a casa” nel nostro corpo e nella nostra esperienza interiore, momento per momento. Così recuperiamo energia, fiducia, senso di rinnovata connessione con la nostra vita e i nostri progetti. Ci sentiamo anche meno soli, più aperti e curiosi.

• Vuoi saperne di più sulla Mindfulness? Puoi approfondire qui!
• Vuoi iniziare un percorso personalizzato di Mindfulness? Scrivimi a pecorara@gmail.com oppure clicca sul bottone verde a fondo pagina.
• Vuoi apprendere la Mindfulness in autonomia? Ecco il link alla mia audioguida completa “Mindfulness Qui e Ora: Allenarsi al benessere” che trovi in streaming su Audible e Storytel, oppure puoi acquistare qui!

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Ph: Rodion Kutsaiev

MINDFUL PARENTING E BABY MINDFULNESS

MINDFUL PARENTING E BABY MINDFULNESS

Riuscite a immaginare un gatto acciambellato al sole? Ecco uno degli esempi più vividi dell’essere connessi all’esperienza che si sta vivendo! Anche se pare assopito o persino addormentato, il gatto è sempre cosciente di sé e di ciò che accade attorno e, disteso ai raggi del sole, ne sperimenta tutto il piacere.

La Mindfulness, per chi la conosce e per chi non la conosce ancora, è il contatto con l’esperienza viva del momento presente, è consapevolezza del corpo, del respiro e del sensi, è un’attenzione gentile e non giudicante al come stiamo. Semplicemente esserci!

Mindfulness non significa pensare a come stiamo, nè controllare come stiamo e nemmeno significa cercare di stare meglio. Significa lasciarsi essere per come si è, lasciare che “parlino” i propri sensi, stare in ascolto e comprendere senza giudicare.

Proprio come un bel gattone al sole, anche i bambini molto piccoli sono mindful per natura, ben più di noi adulti: non sono assorbiti e travolti da pensieri, giudizi e preoccupazioni, nemmeno dai ricordi o da piani per il futuro. Sono tutt’uno coi loro sensi e con l’esperienza del momento presente. Sono e basta. Ed è sufficiente!

Non che l’esperienza del momento presente sia sempre piacevole: tutti i bimbi possono avvertire i morsi della fame, il dolore di una colica, il fastidio di un pannolino o la sbucciatura di un ginocchio. D’altro canto, mindfulness non significa cercare la felicità o soffermarsi solo su ciò che ci piace ignorando tutto il resto. Mindfulness è osservare ciò che ci succede (qualunque cosa sia) e stare in ascolto per un po’. Abbandonando ogni giudizio.

Perché è così importante? Perchè pensieri e giudizi sono solo interpretazioni della realtà. E a volte non è il caso di dar loro eccessiva importanza, lasciandoci travolgere. I pensieri non sanno tutto, sono solo pensieri!

Quando sono molto piccoli i bambini vivono immersi nel presente e nelle percezioni corporee. Crescendo, sviluppano competenze cognitive e metacognitive e le emozioni si fanno più complesse e variegate come le nuove situazioni sociali da affrontare: l’asilo, la scuola, il campo sportivo e tutte le persone con cui è richiesto relazionarsi, bambini e adulti. Aiutarli, passo passo, nella crescita e nell’esplorazione di sé e del mondo è il compito amorevole di un genitore.

Cosa fare quando il proprio bambino di 5 anni si è convinto che c’è un mostro sotto il letto? O quando ci si scontra con la frustrazione di una materia scolastica che non piace e non c’è verso di apprendere? Cosa fare con la rabbia che monta quando il fratellino o la sorellina minore distruggono un giocattolo? O come trovare un momento di pace quando il nostro bambino non si ferma letteralmente mai?

In ogni famiglia ci sono piccole e grandi sfide ogni giorno e la pratica mindfulness è un’ottima alleata per bambini, mamme e papà. Con la Baby Mindfulness genitori e bimbi possono ritrovare il contatto con il momento presente, attraverso giochi, esercizi e piccole meditazioni.

Ho pubblicato un’audioguida in formato MP3 che raccoglie il meglio e che è pensata non per insegnare, ma per accompagnare. La puoi scaricare dal sito di Voce in capitolo, oppure ascoltarla in streaming su Audible o Storytel.
Su Audible puoi ascoltare un estratto, anche senza abbonamento!
“BABY MINDFULNESS: GIOCHI, ESERCIZI, MEDITAZIONI”
(con la voce di Valentina Veratrini)

Ti lascio qualche primo spunto… e se vuoi iniziare un percorso personalizzato di Mindful Parenting, scrivimi a pecorara@gmail.com

TIPS & TRICKS • MINDFUL PARENTING
• Sii pienamente presente
• Ascolta le emozioni (belle e brutte) come messaggi utili per orientarti, non temerle
• I problemi non nascono da una brutta emozione, ma da come la gestiamo e rispondiamo
• Gestisci in prima persona ciò che dipende da te
• Esplora con i 5 sensi, ascolta il respiro, concediti attenzione gentile
• I pensieri sono solo pensieri, non sanno tutto!
• Sii paziente: i bambini imparano se si sentono accolti, si chiudono se si sentono giudicati
• Offri fiducia (non “Fa’ tutto ciò che vuoi”, ma “Ti lascio esplorare ciò che sai già gestire”)
• Lascia andare il controllo e le aspettative, lasciati sorprendere!
• Rispetta il tuo bambino: lui ha i suoi tempi e i suoi modi, tutti legittimi
• I tuoi bambini sono perfetti e completi così come sono: crescendo migliorano il loro FARE (non l’ESSERE)

IN TEMA:
Mindfulness, Qui e Ora
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Il cibo? … facciamoci pace (Mindful Eating)
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La scuola ai tempi del Covid: quali alternative?
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Ph: Lauren Lulu Taylor

SOLUTION JOURNALISM NETWORK E SALUTE MENTALE

Solution Jornalism Network e salute mentale

Quali i temi centrali e sfidanti per i giorni a venire? Preservare la salute mentale, insieme a fiducia e speranza, in un momento di profonda crisi planetaria: emergenze geopolitiche, emergenza climatica e sanitaria. La tempesta perfetta, un connubio letale per la nostra salute mentale.

Come si può mantenere un contatto con il mondo quando i media (tutti inclusi) riportano incessantemente notizie disperate e disperanti? Come riuscire a navigare tra tutte le informazioni, restare aggiornati e non intossicarsi?
Una strada molto promettente è quella proposta da una squadra, ormai nutrita e internazionale, di giornalisti impegnati a cambiare la narrativa delle news.
Si tratta del Solution Journalism Network.

È un modo di offrire le notizie che non ci congeli in uno stato di impotenza e disperazione. Che ci permette di tenere aperti gli occhi sui problemi porgendoci una migliore comprensione, così come le possibili soluzioni. La sensazione infatti è che l’approccio giornalistico che va per la maggiore sia quello sensazionalistico, dove vince chi la spara più grossa e più grave, senza fornire chiavi di lettura adeguate e senza fornire il resto del racconto, lasciandoci con un tremendo interrogativo: Sì, ok… e quindi ora come si fa??

Questo tipo di giornalismo vecchio stampo (e anche un po’ truffaldino) mira a metterci ansia per tenerci agganciati. Non è nient’altro che manipolazione: un modo di giocare con le nostre paure, farci sentire inadeguati e in colpa, così che continuiamo a cercare notizie sperando inutilmente in una migliore comprensione e in una rassicurazione. Che non arriva mai.

È così che questa rete internazionale di giornalisti sta sensibilizzando il mondo dell’informazione affinchè i servizi e gli articoli che si pubblicano siano sempre più attenti a questi 4 punti chiave:
1. OFFRIRE SOLUZIONI E RISPOSTE. Quando si parla di un problema (sociale, climatico, sanitario, geopolitico) essere chiari nella spiegazione e nella sua contestualizzazione. E altrettanto chiari ed aesaustivi nel porgere tutte le soluzioni in campo per affrontarlo
2. OFFRIRE COMPRENSIONE E INSIGHT. Quando s’illustrano le soluzioni in campo, spiegare cosa sta funzionando e perchè. E, se qualcosa non funziona, impegnarsi a spiegare cosa e quali informazioni utili ci offre questo “fallimento”
3. OFFRIRE DATI E PROVE. I problemi e le soluzioni, ciò che funziona e ciò che no, devono essere supportati da dati quantitativi e/o qualitativi a sostegno. Per dare il buon esempio e combattere le fake news
4. MOSTRARE I LIMITI. Non si tratta di raccontare una bella favoletta. Il giornalismo dev’essere rigoroso e se qualcosa non ha gli esiti sperati, occorre analizzare perchè. O anche spiegare perchè una soluzione funziona in un contesto e non in un altro, in modo che chi volesse avvantaggiarsi di una soluzione lo faccia il più possibile consapevolemente, conoscendo pro e contro.

Come si può intendere, si tratta di un approccio profondamente costruttivo, che mira non a colpirci come bersagli, ma ad aumentare la consapevolezza di ciò che ci succede intorno e la conoscenza di tutte le risorse che si possono mettere in campo. Si tratta di un modo totalmente nuovo, etico, rigoroso, inclusivo e non disturbante di portare le notizie, anche le più scomode e difficili. Non possiamo perire di news scioccanti che ci tolgono il respiro a ogni ora del giorno. Così come non possiamo non sapere cosa accade nel mondo e nascondere la testa sotto la sabbia.
Ora l’alternativa esiste e da professionista della salute mentale mi auguro che sempre più giornalisti e testate scelgano la strada della consapevolezza e del rispetto della psicologia delle persone, non alterando i fatti ma trasformandone la narrativa da tossica a costruttiva.


IN TEMA:
Solution Journalism – Mission
https://www.solutionsjournalism.org/about
Se Lady Gaga parla di salute mentale
https://www.rossanasilviapecorara.com/se-lady-gaga-parla-di-salute-mentale
Eco-ansia, attacchi di panico e crisi climatica
https://www.rossanasilviapecorara.com/eco-ansia-attacchi-di-panico-e-crisi-climatica/
Disconnessione selettiva, perchè ormai rifiutiamo le cattive notizie
https://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/societa_diritti/2022/08/22/disconnessione-selettiva-perche-ormai-rifiutiamo-le-cattive-notizie_3035ffdd-8dc8-4a7c-8cfe-e226e7042a8f.html

DOLORE ANSIA E INSONNIA: FIBROMIALGIA E L’AIUTO DELLA MINDFULNESS

DOLORE ANSIA INSONNIA FIBROMIALGIA

“All’inizio non mi credeva nessuno e ancora adesso fatico a spiegare alla gente come sto e cosa mi succede, perchè ho la sensazione che non mi capiscano”
“Ho dovuto cambiare medico più volte e non rassegnarmi all’idea che fossi solo stressata o esagerata!”
“Ci ho messo un po’ di tempo a capire che avevo bisogno di aiuto. Ciò che mi accadeva non aveva proprio senso. Temevo di essere presa per una che s’inventa le cose o che si diverte a far la vittima, perchè gli esami erano a posto e non c’era niente che non andava…”

Ma andiamo per ordine… La Fibromialgia (o Sindrome fibromialgica) è un’insieme di sintomi. Questi i più comuni:
1. dolori diffusi riferiti a muscoli, tendini e legamenti
2. sensazione di rigidità corporea
3. spossatezza e fatica cronica
4. mal di testa e insonnia
5. coliti e disturbi gastroenterologici

Questi sintomi sono comprensibilmente capaci di attivare una buona quota di ansia e di stress, oltre che difficoltà a concentrarsi e talvolta a eseguire anche semplici compiti. Ansia, sensibilità allo stress e incapacità di concentrarsi di solito sono annoverati essi stessi tra i sintomi. Ma è pur vero che, come in un circolo vizioso, peggio mi sento, più ansia e confusione sperimento. E in un quadro nosografico che è lungi dall’essere chiaro e definito, si fa ancora fatica a capire cosa genera cosa.

La grande maggioranza dei soggetti colpiti da fibromialgia sono donne tra i 40 e i 60 anni e per ora non esiste una “cura”. Anche la diagnosi non è semplice: di solito, in presenza di valori del sangue nella norma, si fa semplicemente riferimento ai sintomi riportati dai pazienti e si esegue la diagnosi differenziale con l’artrite reumatoide, il lupus, la polimialgia reumatica, per escludere queste e altre patologie simili. Ma nessun esame clinico o di laboratorio è in grado di confermare la diagnosi di fibromialgia. Almeno al momento.

La buona notizia è che un approccio olistico e multidisciplinare può portare risultati nel tempo. Lavorare sul corpo e sulla mente in un’ottica integrata ha dimostrato una certa efficacia.

Quali sono dunque gli interventi che aiutano a minimizzare l’impatto dei sintomi?
Sempre consultando un reumatologo per il proprio specifico caso, possono essere utili massoterapia, termoterapia, agopuntura, yoga e ginnastica dolce, e anche la giusta attenzione all’alimentazione (meglio informarsi su quali cibi aiutano e quali no).
Nei casi più gravi si possono assumere farmaci per il controllo del dolore, ansiolitici e antidepressivi purchè sotto stretto controllo medico.

In questo quadro la psicologia -specialmente la terapie di terza generazione, orientate al corpo e la Mindfulness- sono di grande aiuto per migliorare l’ansia e lo stress che sono parte della sindrome.
Meno stress percepisco, migliore sarà il mio umore, meglio dormirò e meglio riuscirò nello studio e nel lavoro. E probabilmente il dolore fisico che avvertirò sarà meno intenso…

La Mindfulness nasce negli anni ’70 dallo studio appassionato di psicologi e neurobiologi convinti che le pratiche meditative e contemplative di stampo buddhista fossero molto efficaci nel potenziare le nostre risorse mentali e nel silenziare gli elementi di disturbo, per così dire. Elementi di disturbo come pensieri negativi ripetitivi, autocritiche continue, o anche solo la sensazione costante e pervasiva di non essere mai efficaci abbastanza.
Questo gruppo di studiosi aveva perfettamente ragione perchè, attraverso la risonanza magnetica funzionale (fMRI), si potè confermare che la pratica meditativa determina cambiamenti nel cervello. Le immagini della risonanza parlavano chiaro!

Dopo un minimo di 6 mesi di training, chi aveva iniziato a praticare la meditazione con costanza mostrava un maggiore afflusso di ossigeno e zuccheri verso alcune aree cerebrali. L’esperienza riportata dai soggetti sperimentali era una sensazione di maggiore pace, maggiore fiducia nelle proprie capacità, una sensazione di maggiore connessione agli altri.

La Mindfulness aiuta a gestire l’ansia e lo stress perchè è un modo diverso e del tutto nuovo di portare attenzione e consapevolezza al corpo: non per quello che ci toglie, ma per quello che ci dà. Mindfulness è ascolto e osservazione profonda e genuina di come stiamo, senza critica e senza giudizio. Ogni volta che ci serve, anche quando siamo avvolti nel dolore, possiamo trovare un po’ di pace ascoltando il respiro, dedicandogli la nostra attenzione. Questo basta a spegnere immediatamente il dolore acuto? No, ma aiuta a distogliere l’attenzione da qualcosa che ci fa stare male. E siccome l’essere umano è capace di portare “attenzione focalizzata” a una sola cosa per volta, si può allenare il cervello a non andare in automatico dove il dente duole (perchè quello il cervello fa!), e rivolgerlo invece con pazienza e gentilezza verso qualcos’altro. Verso una parte di noi che ci accompagna sempre e lavora instancabilmente per noi.
Quante volte ci pensiamo? Quante volte lo diamo per scontato? Vale per il respiro, così come per il battito cardiaco, o per l’assiduo lavoro dei nostri cinque sensi… e per qualsiasi parte di noi o fuori di noi che vogliamo esplorare con curiosità e attenzione rinnovata. Mindfulness è consapevolezza del momento presente: è l’esperienza del qui e ora per com’è, non per come lo vorremmo. È puntare il faro su ciò che c’è e ci sostiene, non su cosa ci manca. È la sensazione rassicurante di essere liberi di stare come stiamo. Non ci è richiesto altro.

La Mindfulness è di primaria importanza anche per trattare l’insonnia, che è tipica della fibromialgia, e che ritroviamo anche in altre condizioni cliniche. La Mindfulness per l’insonnia è uno dei passi fondamentali per comprendere e migliorare la qualità del sonno. Infatti è parte della Terapia Cognitivo-comportamentale per l’insonnia (CBT-i), ossia il protocollo d’intervento in uso in ogni centro di Medicina del Sonno, in Italia e all’estero.
Insomma, Fibromialgia e Mindfulness hanno ben qualcosa da dirsi!

RISORSE UTILI:
Sezione Fibromialgia dell’Istituto Superiore di Sanità
Approfondimenti su Mindfulness e pratica meditativa
Approfondimento su insonnia e CBT-i (Terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia)
E se vuoi semplicemente raccontarmi la tua esperienza con la fibromialgia, puoi scrivermi a pecorara@gmail.com

Ph: Sidney Sims