RI/SENTIMENTO: L’EMOZIONE DELLO SCHIAVO

Risentimento l'emozione dello schiavo

“Il risentimento è l’emozione dello schiavo, non perché lo schiavo sia risentito, ma perché chi vive nel risentimento vive nella schiavitù”
F. Nietzsche 

Già, perché ri/sentimento vuol dire proprio continuare a ri/sentire la stessa emozione di rabbia, di frustrazione, d’impotenza. Un po’ come qualcosa d’indigesto che continua a riproporsi. E che non ci lascia stare. Ecco, questa è la “schiavitú” di cui parla Nietzsche. Uno stato d’animo che ci tiene alla catena di una situazione che magari è successa tanto, troppo tempo fa. E che non ci permette di andare avanti.

Qualcuno potrebbe dire: Eh, ma certe cose non si possono dimenticare o perdonare…
Certo, non si possono dimenticare, ma si possono superare. E si possono superare in tanti modi. Ognuno può trovare il suo. Ad esempio si può avanzare una richiesta di scuse, una richiesta che non si è mai avuto il coraggio di far prima. Si può chiedere un atto simbolico di riparazione. Oppure cercare un colloquio chiarificatore, perché siamo convinti di saper sempre cosa pensano gli altri e con quale malevolo intento “peccano”, ma spesso ci sbagliamo. E magari parlandone scopriamo che le intenzioni non erano così pessime o ammantate di malafede. Non capita anche a noi di sbagliare?

Sia come sia, quando smettiamo di “trattenere” (la rabbia, per esempio) e “lasciamo andare,” non siamo più ri/sentiti: cioè non ri/sentiamo più quell’emozione disturbante che ci ancorava al palo. E ci apriamo a nuove possibilità.
Siamo di nuovo liberi!

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• Sindrome da manipolazione affettiva, parliamone
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NEURODIVERSITÀ: NUOVE SFIDE PER IL MONDO DEL LAVORO

neurodiversità nuove sfide

Che vocabolo strano “neurodiversità”… Che significa?
Come siamo differenti per colore degli occhi, dei capelli, per il genere e tutte le altre variabili fisiche, siamo differenti anche per molte caratteristiche cerebrali. Chi ha l’orecchio assoluto per la musica, chi si orienta perfettamente in un luogo sconosciuto, chi ha un dono speciale per l’empatia, chi fa difficili calcoli a mente… e così via.
Sono tutte qualità permesse dal nostro funzionamento cerebrale.

In alcuni casi la neurodiversità si manifesta (almeno a prima vista) come una mancanza: sindrome da deficit dell’attenzione (ADHD), (ex) sindrome di Asperger, quelli che vengono definiti “disturbi specifici dell’apprendimento” (come dislessia, discalculia etc), e alcune altre condizioni particolari, come la Sindrome di Tourette.

Si devono considerare queste condizioni solo in termini di deficit e carenze?
Esiste il valore aggiunto di un funzionamento cerebrale DIFFERENTE?
Per il mondo del lavoro, soprattutto digitale (tech, fintech, biotech, AI, animazione e gaming…), si tratta di una questione molto interessante.

In questi settori c’è bisogno di risolvere problemi molto complessi, d’innovare costantemente, saper ragionare in modo creativo e “divergente” per affrontare le tante nuove cybersfide. Proprio da chi ha speciali caratteristiche cerebrali può giungere meglio questo aiuto. Chi ha un peculiare funzionamento cerebrale ha un vantaggio competitivo interessante per le aziende. Vediamo in breve quali.

GLI ASPERGER sono altamente creativi e immaginativi, dotati di concentrazione straordinaria, eccellenti capacità logiche e spaziali. Sono in grado di affrontare i problemi da punti di vista inconsueti e potenzialmente vincenti.
Greta Thunberg è Asperger: determinazione, focalizzazione sull’obiettivo, nessuna soggezione dinanzi ai poteri forti sono le sue doti più evidenti.

GLI IPERATTIVI (ADHD) possiedono una vivida immaginazione e sono particolarmente creativi. Altamente distraibili se poco interessati a qualcosa (da qui prende il nome la loro condizione), sono in grado di concentrarsi in modo eccezionale (hyperfocus) su ciò che li attira di più (poniamo lo sviluppo di un videogioco o di un’animazione).

I DISLESSICI sono maestri del pensiero laterale. Ben l’84% ottiene alti punteggi nel ragionamento, nella comprensione di specifiche configurazioni spaziali e pattern visivi e hanno ottime capacità di giudizio e decisionali. Le loro competenze sono inestimabili quando occorre affrontare una questione secondo prospettive più ampie e valutare le situazioni da molti punti di vista differenti.

Com’è facilmente intuibile, tutte queste caratteristiche sono un plus per molti ambienti di lavoro. Se molti “normodotati” (o neurotipici) si distraggono facilmente per il continuo sopraggiungere di stimoli (come mail e telefonate), alcuni “neurodiversi” riescono a mantenere intatta la concentrazione, sopportano meglio compiti di routine che esigono massima precisione (come controllo/verifica o data entry) e in generale portano visioni insolite dei problemi trasformandoli più facilmente da sfide a opportunità.
C’è bisogno di aggiungere altro?

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How to create a workplace that supports neurodiversity

AUDIOGUIDA PER L’INSONNIA: METODO CBT-I

AUDIOGUIDA PER L'INSONNIA: METODO CBT-I

Insonnia… Proviamo a sdrammatizzare?
Vediamo un po’. Hai provato a contare le pecorelle ma non funziona. Hai provato col bagno caldo e la musica soffusa prima di coricarti a letto e non funziona. Hai provato con la tisana rilassante e le campane tibetane. Poi hai visto per caso uno di quei format americani e ti sei persino lasciato cullare dal ronzio del phon. Nulla!
Come mai? Magari temi che la tua sia un’insonnia “incurabile”

La verità è che tanti dei presunti “rimedi” che mettiamo in atto sono inefficaci. A volte sono persino controproducenti: peggiorano la situazione e ci danno l’impressione che non ci sia proprio nulla da fare!
Una per tutte: “sforzarsi di dormire”. O peggio, tentare di recuperare durante il giorno il sonno perso nella notte. E peggio che mai, autoprescriverci sonniferi!
Sì, facciamo tutto in buona fede, convinti che la cosa serva. Vogliamo risolvere il problema. Ma sono mosse che non funzionano e notte dopo notte l’insonnia ci perseguita.

Negli anni la Medicina del Sonno ha studiato alcuni esercizi, semplici ed efficaci, per ritrovare il sonno perduto e il piacere di dormire.
Si tratta del PROTOCOLLO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE PER L’INSONNIA (metodo CBT-i). Un insieme di tecniche sperimentate da team di ricerca internazionali e proposte in tutti i centri di Medicina del Sonno

Se vuoi saperne di più, ho pubblicato una nuova audioguida per approfondire e praticare in autonomia gli esercizi che ho riassunto in 7 PASSI. Quali sono?
1. 
Diario del sonno
2.  Igiene del sonno
3.  Apprendimento per associazione
4.  Restrizione o compressione del sonno
5.  Intenzione paradossale
6.  Intervento cognitivo
7.  Mindfulness per l’insonnia
Sono alla portata di chiunque sia determinato a chiudere il capitolo della sua insonnia.

Dormire bene. Vincere l’insonnia in 7 passi
Versione CD
Versione MP3
Amazon Audible (puoi ascoltare un breve estratto anche senza abbonamento)

Vuoi prima ascoltare il demo gratuito? Niente paura… Lo trovi qui!
E se hai domande, dubbi o curiosità, o vuoi intraprendere il trattamento CBT-i, scrivimi a pecorara@gmail.com

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Mindfulness Qui e Ora
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Dolore, ansia e insonnia: Fibromialgia e l’aiuto della Mindfulness
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TRUFFE “ROMANTICHE” IN CASSAZIONE

truffe romantiche in cassazione

Finalmente riconosciuto in Cassazione il reato di truffa “romantica” o “affettiva”

La Cassazione con sentenza n. 25165/2019 condanna chi, fingendo sentimenti d’amore per una persona, la induce in errore prospettandole una vita insieme solo per farsi consegnare del denaro. In sostanza, se si fa credere alla vittima di vivere una storia d’amore volta alla convivenza o al matrimonio, si mette in atto un vero e proprio artifizio o raggiro richiesto dalla norma penale per configurare il reato di truffa.

La Corte d’Appello ha infatti confermato la sentenza che ha condannato un imputato alla pena di due anni e sei mesi di reclusione e 1.500,00 € di multa, oltre al risarcimento del danno della persona offesa, per il delitto di truffa aggravata.

Si contesta all’imputato di “avere con artifizi e raggiri, consistiti nell’avviare una relazione sentimentale con la persona offesa (p.o.)(di molto più grande di lui), nel proporle falsamente l’acquisto in comproprietà di un appartamento (e poi di altro appartamento) consegnandole anche fotografie dello stesso, nel richiederle prestiti proponendole la cointestazione di quote societarie, indotto in errore la p.o circa l’effettivo acquisto dell’immobile e sulla situazione economica della propria società facendosi consegnare ingenti somme di denaro, in tal modo procurandosi un ingiusto profitto con pari danno per la p.o.” L’imputato, all’esito del secondo giudizio a lui sfavorevole ricorre in Cassazione lamentando:

  • come la Corte d’appello abbia erroneamente configurato nella sua condotta il reato di truffa, stante l’assenza di un’attività finalizzata a ingannare la persona offesa. Egli si sarebbe infatti limitato a ricevere prestiti volontariamente concessi dalla persona offesa;
  • come il giudice di secondo grado non abbia compiuto alcuna valutazione autonoma del materiale probatorio prodotto, con particolare riferimento alle dichiarazioni della persona offesa;
  • il contenuto della motivazione a sostegno della irrogazione di una pena ritenuta eccessiva e del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

Ma fortunatamente la Cassazione con sentenza n. 25165/2019 rigetta il ricorso dell’imputato perché infondato. Si è ritenuto infatti che la persona offesa non abbia consegnato denaro all’imputato per perseguire finalità speculative trasparenti, ma per realizzare il progetto di andare a vivere insieme.
La Cassazione rileva come la Corte d’Appello abbia correttamente risposto “sottolineando che la condotta del ricorrente era consistita non (solo) nel simulare sentimenti d’amore, ma nel coordinare la menzogna circa i propri sentimenti con ulteriori e specifici elementi (il progetto di vita in comune, l’investimento societario) idonei, insieme ad essa, ad avvolgere la psiche del soggetto passivo in modo da assumere l’aspetto della verità ed a trarre in errore.”

Attenzione però. La Cassazione precisa che la truffa non si configuri per il semplice inganno riguardante i sentimenti del reo per la vittima. Si configura perché la menzogna circa i propri sentimenti si allinea con uno scenario studiato e simulato per manipolare gli stati mentali della vittima: le sue emozioni, le sue intenzioni e motivazioni. “Non c’è dubbio che l’imputato, nella presentazione di una falsa prospettiva di vita in comune, abbia indotto in errore la persona offesa, la quale, proprio perché coinvolta in una relazione sentimentale non poteva avere sospetti delle reali motivazioni che stavano dietro alle richieste di denaro.”

Se sospettate di essere caduti/e nella trappola di un/a truffatore (o scammer), rivolgetevi subito a uno studio legale e/o all’ACTA, Associazione Contro le Truffe Affettive. Otterrete un aiuto immediato e gratuito. LINK QUI

Nessuna vergogna o imbarazzo a denunciare. I truffatori e le truffatrici operano manipolazioni sottili, continue e sistematiche. Spesso non si tratta nemmeno di singoli soggetti, ma di vere organizzazioni criminali internazionali.
Chiedete aiuto e denunciate senza indugio.

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Photo: Artem Beliaikin

“ORIENTAMENTO SESSUALE”: LE PAROLE CONTANO

orientamento sessuale le parole contano

Commentavo poco fa su un social, la vittoria del primo sindaco transgender d’Italia e di come molti si trovino a dire o scrivere “non m’interessa con chi va a letto, ma se sarà un buon sindaco”. Rispetto al mare magnum delle volgarità e delle offese che si sprecano su questi temi, questo pare ancora un commento liberal, aperto e progressista.

E invece. E invece a me suona sempre confusivo, limitante e fuorviante che ciò che una persona è sia descritto da come e con chi usa i suoi genitali. Come se il punto fosse quello. Badiamo bene che le parole contano, non sono “innocenti”. Non si tratta di un’inezia linguistica. Le parole contribuiscono a costruire la realtà sociale. Per cui se io dico che X ha quel dato orientamento “sessuale” (omo o etero o altro non importa) lo definisco in base alla sua genitalità. Non certo nella sua complessità di PERSONA.

“Orientamento sessuale” è un’espressione novecentesca, antica, quasi “pruriginosa”. Non ha nulla di liberal o progressista. Le parole contano e sarebbe utile trovare un’espressione diversa per indicare chi siamo e chi amiamo. “Orientamento affettivo” potrebbe candidarsi a sostituto, perchè è più ampio e inclusivo. Comprende la gigantesca sfera emozionale oltre quella sessuale.
È già qualcosa.

Volendo esprimere un desiderio per il futuro, mi augurerei che non ci fosse più bisogno di distinguere le persone sulla base del loro orientamento “sessuale” o dell’identità di genere, così come sulla base della loro religione o etnia.
Una persona è un insieme complesso di emozioni, bisogni, aspirazioni, ruoli e relazioni. Che non è facile ridurre e sintetizzare in un’etichetta. Soprattutto se quella (brutta) etichetta fa riferimento soltanto a un’area circoscritta del nostro corpo.

E tu cosa ne pensi? Se vuoi, scrivimi a pecorara@gmail.com

NO, UNA TERAPIA BEN FATTA NON DURA ALL’INFINITO

una terapia ben fatta non dura all'infinito

Parliamoci chiaro. Spesso l’idea di affrontare un percorso psicologico o psicoterapeutico, che si sa quando inizia e non si sa quando finisce, può suscitare timore o perplessità. E a ragione. Siamo abituati, ahimè, a sentire o leggere di terapie decennali, di consulenze che non finiscono mai. 

Invece un percorso psicologico ben impostato deve cominciare a dare a breve i suoi primi frutti e deve poter terminare, di comune accordo tra professionista e paziente, in un lasso di tempo sensato. Di solito si tratta di un anno, un anno e mezzo, per la maggior parte dei casi. Fino a due anni per casi più complessi, con la possibilità di continuare a incontrarsi una tantum per vigilare sulla stabilità e sulla continuità dei progressi. Se questo tempo non basta, probabilmente il percorso non è adeguato ai bisogni del paziente. E continuerà a non esserlo pur prolungando i tempi della terapia.

Il terapeuta dovrebbe sempre verificare l’efficacia del suo intervento e se i risultati non ci sono, o sono scarsi, non è responsabilità del paziente. È responsabilità del professionista cambiare strategia terapeutica oppure inviare il proprio paziente ad altro professionista, psicologo/a o psichiatra, affinché possa trarre giovamento in un altro percorso.

Questi sono i diritti sacrosanti di un paziente, che ha facoltà di conoscere sempre tempi e strategie dell’intervento. Vale all’interno di uno studio psicologico, come di uno studio psichiatrico od oculistico o ginecologico. Perché la relazione di cura (quale che sia) ha sempre come obiettivo primario tutelare il paziente e tenerlo informato.

Anzi, la tutela e la corretta informazione del paziente, unite al rispetto assoluto per la sua persona, sono il primo strumento di cura che possiede un professionista della salute. Infatti solo attraverso il rispetto e la fiducia si può formare quella che si chiama alleanza terapeutica. Che è la buona disposizione del paziente ad affidarsi al curante e collaborare attivamente al percorso di cura.

L’alleanza terapeutica ovviamente non piove dal cielo. Si costruisce in un contesto di ascolto, rispetto, accoglimento. È fiducia reciproca, è la possibilità di lavorare bene insieme per un obiettivo comune. E le basi che si gettano al primo incontro con uno psicologo sono cruciali, includendo anche l’essere informati su quale sarà il lavoro terapeutico e una previsione dei suoi tempi. Se queste informazioni mancano o sono assai vaghe, il mio consiglio spassionato è di cercare un altro professionista.

Photo: Harry Sandhu

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